Prima di morire Michael Ballhaus partecipa ad una proiezione berlinese de Il Matrimonio di Maria Braun (1979, R.W. Fassbinder) di cui è stato direttore della fotografia, in quello e in molti altri film del regista tedesco prima di partire per gli Stati Uniti. Viene accompagnato sul palco, si regge in piedi a fatica, è un momento molto emozionate, soprattutto quando racconta di come era lavorare con Fassbinder, di tutte le volte che giurava senza successo che fosse l’ultima.

Nel 2017 si spegne nella sua città, Berlino. Il suo ritratto assieme a quello di altri 56 protagonisti del cosiddetto «Nuovo cinema tedesco» è esposto nella mostra fotografica di Beat Presser e Michael Wendt alla Willy-Brandt-Haus fino al 22 marzo: «Aufbruch und Umbruch». Rottura e cambiamento. Nuove partenze e sconvolgimenti. Il nuovo corso prende la rincorsa dal Manifesto di Oberhausen del 1962 in cui ventisei filmmaker, tra cui Edgar Reitz e Alexander Kluge, dichiarano senza troppi giri di parole che i film vecchi sono morti e di credere fermamente nei nuovi. Non solo, viene ribadita la libertà dalle convenzioni, soprattutto commerciali, e la necessità di prendersi anche rischi economici.

È una tappa fondamentale del cinema tedesco dai suoi albori nel 1895 quando i fratelli Skladanowski presentarono i primi film al Winter Garden Palace di Friedrichstrasse. In seguito, la storia è nota, negli anni Venti e Trenta molti autori scapparono ad Hollywood mentre in patria la fiorentissima industria cinematografica diveniva il fiore all’occhiello del regime nazista. Molti artisti, non solo registi e attori, sono nati prima o durante la Seconda Guerra Mondiale e come ricorda il regista Hark Bohm: «Dopo il caos della guerra e della sconfitta c’era l’esigenza di una patria sicura e di un sistema politico ordinato, dove ognuno restava al suo posto e poteva sentirsi al riparo. Se tutto ciò non si percepiva nella realtà, allora lo si trovava al cinema. Quello era il balsamo per l’anima».

Il balsamo di cui parla Bohm sono i film innocui come Sissi- La giovane Imperatrice (1956, Ernst Marischka), commedie romantiche tipo Moselfahrt aus Liebeskummer (1953, Kurt Hoffmann) oppure Il cacciatore della foresta d’argento (1954, Alfons Stummer). Un cinema molto più soft di quello di Bruno Ganz, Hanna Schygulla, Margarethe Von Trotta o dell’outsider del movimento Roland Klick. Il senso letterale dell’Heimat (riduttivamente tradotta come «patria») sembra affidato al monumentale lavoro di Edgar Reitz seppur privo di edulcorazioni, dove la Sehnsucht resta solo un vago struggimento attorno all’identità tedesca. Il panorama resterebbe per certo tronco se non si facesse riferimento a quello che accadeva nell’altra parte del Paese.

Il fotografo Michael Weidt mostra in b/n i volti di artisti, cineasti, autori cinematografici della DDR: Jenny Gröllmann, Corinna Harfouch, Hermann Beyer, Michael Gwisdek, Henry Hübchen, Uwe Kockisch, Ulrich Mühe. Come in una cena tra amici della stessa cerchia, Weidt coglie l’essenza iconica di un’epoca e giustamente accanto ai suoi lavori troviamo trenta locandine, su almeno 6.300, dei film della DEFA dal ’46 al’90. L’esposizione nasce indirettamente dall’ imponente ricerca svolta da Detlef Helmbold, autore del libro Mehr Kunst als Werbung- Das DDR Filmplakat («Più cultura che pubblicità- Le locandine della DDR»). Naturalmente ci sono state fasi diverse nella storia della DDR che hanno avuto anche un impatto nella grafica delle locandine, senza dimenticare il ruolo dell’apposita commissione responsabile per l’approvazione o meno dei poster. Se non si tratta solo di mera pubblicità al film ma di un’opera artistica a sé stante allora il valore storico del film stesso si amplifica.

La Leggenda di Paul e Paula (1973, Heiner Carow) fu uno dei più grandi successi della produzione DEFA, nonostante la trama ingenua da romanzo rosa, tanto che ad oggi un lungofiume è stato ribattezzato con il nome dei protagonisti e fino al 2012 una panchina per innamorati posta sul luogo delle riprese ne ribadiva la fama. Entrambi gli attori fuggirono all’inizio degli anni Ottanta all’Ovest e il film non fu più trasmesso in televisione anche se nessuno lo tolse realmente dalla programmazione delle sale e dal cuore della gente. Lo stesso regista è ricordato anche per Ikarus (1975) e Coming Out (1989) primo film con tematica omosessuale nella Germania dell’ Est. Queste e altre locandine sono in mostra, assieme alle già citate fotografie, cortometraggi, citazioni, brevi biografie ed estratti di film. Il cinema tedesco è morto, viva il cinema tedesco. Almeno qui.