«Io lo chiamo contrappunto libero: il mandare fuori un suono da una persona all’altra e viceversa, fino a quando si crea un assieme sonoro! L’ho trovato nel vecchio dixieland, e l’ho trovato nel nuovo jazz degli anni sessanta». Dalla polifonia improvvisata del jazz tradizionale all’improvvisazione collettiva del free jazz, il trombonista Roswell Rudd – mancato a Kerhonskon (New York) il 21 dicembre – era arrivato praticamente senza transitare come tappa intermedia nel jazz moderno: un passaggio diretto, raro ma del tutto plausibile, che lo accomunava ad un altro dei grandi protagonisti bianchi del free, il sassofonista Steve Lacy, con cui si incontra agli inizi della sua carriera.
Nato nel 1935 nel Connecticut, Rudd assorbe la passione per la musica dei genitori, musicisti per diletto. Comincia studiando canto, poi fra il ’54 e il ’58 etnomusicologia all’Università di Yale, dove suona in un complesso dixieland. Negli ultimi anni cinquanta Rudd approda a New York, suona jazz tradizionale ma comincia a frequentare musicisti di area free. Nei primi anni sessanta Rudd collabora con il pianista Cecil Taylor, uno degli iniziatori e dei più risoluti alfieri della nuova musica, e monta con Lacy un quartetto che si dedica a composizioni di Ellington, Weill, Monk, Strayhorn, Herbie Nichols e Taylor. La musica di Monk prende il sopravvento nel repertorio del gruppo, che non riesce però a farsi pubblicare nessun disco e di cui solo molti anni dopo uscirà una registrazione di fortuna.

 

 
Rudd e Lacy continueranno a coltivare, anche insieme, la loro devozione per Monk e per Herbie Nichols, pianista a lungo misconosciuto, per Rudd come per Lacy delle bussole nella ricerca.
MENTRE si esaurisce l’esperienza del quartetto, nel ’64 Rudd partecipa a New York Eye and Ear Control, album epocale del visionario sassofonista Albert Ayler, comincia ad incidere con un altro dei più importanti protagonisti del free, il sassofonista Archie Shepp, e con una formazione emblematica del free, il New York Art Quartet, registra un album in cui compare come voce recitante LeRoi Jones (poi Amiri Baraka), poeta e teorico del free. Con la sua forza espressiva, il sound poderoso e pastoso, il gusto della vocalizzazione, uno stile caratterizzato da tratti «arcaici», che riporta alle prime fasi del trombone nel jazz, e che integrando anche elementi «sporchi» non considera l’eleganza come la divinità a cui sacrificare tutto, Rudd si afferma come il più importante esponente del trombone nel free. Nel ’68 Rudd è il solista di uno dei lavori incisi dalle compagini raccolte sotto l’intestazione di Jazz Composer’s Orchestra, proiezione orchestrale di un generoso tentativo di autogestione portato avanti da alcuni dei più importanti protagonisti dell’avanguardia. Quando poi la stagione del free è ormai in declino, nell’ultimo scorcio degli anni sessanta Rudd dà un contributo magistrale ad alcuni album che lasciano il segno nel periodo a cavallo fra i due decenni.

 

 
Nel ’69 Rudd dà il suo tocco a Los Quatros Generales, una delle riletture di canzoni repubblicane della guerra civile spagnola e uno dei momenti di massima epicità di Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, episodio esemplare di coniugazione di un altissimo livello artistico e poetico e di impegno civile e politico.

 

 
Sempre nel ’69 Rudd è accanto a Gato Barbieri in Third World, altro album di straordinario pathos. Rudd partecipa inoltre all’opera-album Escalator Over The Hill, allestita da Carla Bley fra il ’68 e il ’71, uno dei progetti più originali dell’epoca.
Ma con la fine del decennio comincia il grande freddo, e per il jazz d’avanguardia e per Rudd la situazione diventa ancora più difficile di quanto già non fosse. Per mettere insieme il pranzo con la cena deve accontentarsi di lavorare come taxista o idraulico, e per molto tempo incide pochissimo: con Rava, con Misha Mengelberg, con Lacy. Negli anni novanta le occasioni di lavoro tornano più numerose: Rudd realizza un omaggio a Herbie Nichols, poi alla fine del decennio una reunion del New York Art Quartet e un live con Shepp, segnano per Rudd l’inizio di una seconda primavera.

 

 
Così ne approfitta anche per tornare ad antichi amori: negli anni settanta il trombonista aveva fatto ricerca sulla corrispondenza fra blues e musiche popolari del mondo, ed eccolo allora nel nuovo millennio incidere con il suonatore di kora maliano Toumani Diabate, col portoricano Yomo Toro, personaggio di culto della musica latina, con musicisti dell’Asia centrale. Ma anche con Toumani Diabate Rudd non aveva potuto fare a meno di rendere omaggio a Monk: come ha fatto ancora nell’ultimo titolo della sua discografia, Embrace (RareNoise), uscito quest’anno, riproponendo Pannonica, uno dei brani di Monk a cui Rudd è rimasto fedele dai primi anni sessanta.