Ex commessa di ferramenta, sottratta da un perverso principe azzurro a scaffali pieni di martelli e di chiodi per finire rinchiusa in un rosso boudoir pieno di corde e frustini di cuoio, all’inizio di 50 sfumature di nero, Anastasia Steele si è trasformata in un’aspirante donna in carriera. Single, grunge chic e spigliata, siede negli uffici di una casa editrice di Seattle, a una scrivania collocata proprio fuori dalla porta del fiction editor, che la guarda in modo lubrico e al mattino le porta il tè come piace e lei – «nero e leggero». Come previsto nel secondo libro della vendutissima trilogia erotica dell’inglese E.L James, l’emancipazione di «Ana» dura poco più dei primi cinque minuti del film, messa in crisi dal ritorno in scena di Christian Grey che, dopo averle mandato un mazzo di rose bianche per festeggiare il primo giorno di lavoro, la sorprende a un vernissage di fotografia e la implora di ritornare con lui.

Lei accetta di andare a cena e parlarne, ma solo «perché sto morendo di fame». L’ultimo gesto di indipendenza è ribellarsi alla bistecca che lui le ha ordinato e scegliere invece un’insalata di quinoa… Ana è di nuovo tra braccia di Christian ancora prima del dessert. Insieme all’emancipazione di questa Pauline del sadomaso, nel secondo film delle serie, va in fumo anche quella patina di pretesa artistica conferita a Fifty Shades of Grey dalla presenza dietro alla macchina da presa di Sam Taylor Wood.

Al posto della pittrice/regista, è infatti il sanguigno e poco pc James Foley, autore di noir, thriller e tv di qualità (Billions, House of Cards) ad alto tasso di testosterone, che dirigerà anche il terzo e ultimo film della franchise. Filtrato dalla sensibilità e dal mestiere di Foley, il sesso in Fifty Shades Darker è meno macchinoso e più godibile. Insieme al pubblico, anche Anastasia a Christian sembrano divertirsi di più. Ed è lei, spesso, ad essere quella che inizia il gioco, provocante e osè – qualità che Dakota Johnson sa come evocare, e che Luca Guadagnino aveva saputo sfruttare molto meglio in A Bigger Splash.

Dal «niente regole, punizioni e segreti», condizione del ritorno di fiamma tra Ana e Christian promessa nel trailer (con Miguel che ansima cantando Crazy in Love di Beyoncé), nasce un plot tutto casa e famiglia. Anche se la casa è una mansion miliardaria che ospita un decadente ballo mascherato e l’amica di famiglia è Kim Basinger, a cui Christian deve la sua educazione erotico/sentimentale. Percheggiato in questo episodio di transizione in attesa del terzo, che dovrebbe essere più simile a un thriller, Foley non può fare molto perché la premessa di una love story normalizzata tra i due protagonisti è soporifera di per sé.

Persino la cameriera sorride soddisfatta quando si riapre la porta della stanzetta rossa. Impossibile poi aggirare il problema di una sceneggiatura che, evidentemente per proteggere l’integrità della micidiale prosa di E.L. James, è stata affidata a suo marito Niall Leonard. «Non sono un dominatore. Sono un sadico», spiega a un certo punto, serio serio, Christian ad Ana. E lì viene giù la sala dalla risate.