Travolta dalla crisi economica che la pandemia ha inferto all’art market, anche la Gavin Brown’s Enterprise, due mesi fa ha dovuto annunciare la sua chiusura. Nonostante il Paycheck Protection Program (l’imponente sovvenzione che il Dipartimento del tesoro degli Usa abbia assegnato alle imprese culturali, per un programma di protezione degli stipendi che si basa su un prestito a fondo perduto per mantenere i contratti dei propri dipendenti, durante il periodo di lockdown), l’art system ha dovuto fare i conti con la propria insostenibilità, avendo giocato spesso oltre i propri limiti e possibilità.

GAVIN BROWN, l’art dealer londinese, genio e sregolatezza, unicum di un establisment fin troppo piatto e conformista, nel corso dei suoi 26 anni di attività ha costruito una sorta di impero creativo mixando ricerca e business, come mai nessuno aveva fatto, operando sull’imprevedibilità e la sperimentazione e utilizzando l’azzardo come dispositivo d’azione. La sua capitolazione parziale con la chiusura della sua bellissima sede ad Harlem e la fusione con Barbara Gladstone Gallery di New York dimostra quanto serva ripensare un sistema che sta collassando.

Lo spazio della Gavin Brown ha conservato l’utopia sperimentale e la pragmaticità del business attraverso una scuderia di artisti eccellenti come LaToya Ruby Frazier, Ed Atkins, Arthur Jafa, Mark Leckey, Rachel Rose, Joan Jonas, Alex Katz, Laura Owens, Rirkrit Tiravanija, Jannis Kounellis) galvanizzando e influenzando il gusto e il mercato. Non solo, nel tempo ha sostenuto e promosso campagne dei diritti sociali e politici, schierandosi sia contro la presidenza Trump sia sostenendo il movimento Black Lives Matter e gli artisti black.

Salva dal default è fortunatamente la sua sede romana, allocata nella ex-chiesa di Sant’Andrea De Scaphis a Trastevere, che ha appena inaugurato la mostra Nuns + Monks di Ugo Rondinone (fino al 24 ottobre) in contemporanea con la Galerie Eva Presenhuber di Zurigo e Esther Schipper di Berlino.

Ugo Rondinone (1964), polimorfo e illustre artista svizzero che vive e lavora a New York da 25 anni, presenta la scultorea mostra Nuns + Monks che è una sorta di prosecuzione di un racconto avviato nel 1988, quando, con la scomparsa di Manfred Kirchner (a quel tempo suo partner) a causa di una malattia correlata all’Aids, l’artista trovò nella natura un motivo di rigenerazione e di ispirazione.

Le opere di Rondinone hanno sempre inseguito la dialettica tra intimità e socialità, aggrovigliando la dimensione dell’io a quella del reale. I Nuns + Monks possiedono una bellezza arcaica e al tempo stesso modernissima che evoca altri suoi gruppi scultorei come Human Nature realizzati al Rockefeller Plaza (2013) e Seven Magic Mountains nel deserto del Nevada (2016). Nell’epoca di gender fluid, sembra ribadire l’artista, le presenze scultoree vengono spogliate di una caratterizzazione sessuale, pur differenziandole nei loro titoli.

LA MATERIA in Nuns + Monks rivela una radiosità rafforzata dai contrasti cromatici e un’armonia che è stabilita dalla giustapposizione delle due allusive sezioni del corpo (la testa e il mantello). In esse si avverte l’evocazione alla statuaria medievale. Le opere sono state realizzate grazie alla collaborazione con il dipartimento di scultura medievale del Metropolitan Museum di New York, oltre che attraverso il confronto con la serie dei Cardinali di Giacomo Manzù, opere che incarnano un classicismo che scavalca il tempo e le categorie.

Realizzate in bronzo colorato, le sculture nascono originariamente da modelli in pietra calcarea, le cui scansioni sono state rese tridimensionali digitalmente. Alla friabilità del calcare si oppone così la solidità del bronzo. Alla qualità naturale e ancestrale della pietra, si contrappone il mood pop delle fusioni policrome, tipico del lavoro di Ugo Rondinone.