L’anno prossimo sarà un quarto di secolo che i baffi e il ciuffo di Roberto «Bobo» Rondelli compaiono sulla copertina dei suoi dischi. Otto, finora, quello di esordio, Padiglione, è del 1993, il penultimo, Ciampi ve lo faccio vedere io, del 2015. Dischi che raccontano di un artista cui ben si addice il titolo di «trasversale». Come non citare, a riprova di ciò, proprio l’ostinato lavoro di Bobo per dare piena luce alle parole e alla musica di Piero Ciampi, prima di lui ancora troppo confinate nei recinti di un pubblico ristretto. Con il fortunato album in cui ha proposto, e non semplicemente rieseguito, dodici brani del disperato artista livornese, Rondelli è riuscito là dove altri avevano fallito: far cantare dalla gente Tu no, Ha tutte le carte in regola, Non so più niente.

Venendo adesso al cantautore, sui diversi cammini delle sue note e dei suoi testi appaiono costanti, e solo in apparente «disordine», ironie e malinconie, riflessioni intime e sottili canzonature. È la miscela che il livornese cento per cento ripropone nel nuovo lavoro. Prodotto e arrangiato da Andrea Zappino (Zen Circus), Bocephus King alla chitarra elettrica e Stive Lunardi agli archi, tra gli altri, l’album racconta la vita delle persone al tempo dei social, avvolte nell’illusione di poter contare su migliaia di amici e deprivate di rapporti reali. Sono i Soli del brano di apertura «Sola/ Quanta gente sola/ Che si fa una foto/ per non sentire il vuoto… Fingersi felice/ con cento ‘mi piace’/ E tutti questi amici/ mai visti e mai sentiti». Nessuna polemica, e invece, appunto, molta malinconia.

La vena ironica ironica emerge negli ultimi due versi di Cartolina di giornata, apparente tributo alla città labronica, per lasciare il posto all’amore impaziente di Ammalarsi, alla versione italiana di By this river di Brian Eno, al desiderio di una libertà difficile in L’Andrea Rampante. Tornando alla trasversalità, Rondelli ne fa ampio uso sul piano musicale.

L’impasto sonoro, i diversi timbri chiesti alla voce, il ruolo delle chitarre e delle tastiere, i cori, riecheggiano il filone melodico anni ’70 conferendogli un’estraniante attualità. Verrebbe da citare Luigi Tenco, il Bruno Martino di E la chiamano estate, certi spartiti morbidi di Fred Buscaglione. Ma stiamo ascoltando Bobo, e si sente. Inconfondibile, a cominciare dai baffi e dal ciuffo.