Una «sconfitta epocale e terrificante». Il segretario regionale del Pd Giacomo Leonelli certifica così il terremoto sotto il quale è crollata Perugia, per 70 anni roccaforte «rossa». A espugnarla, il trentacinquenne avvocato Andrea Romizi, di Forza Italia, sostenuto anche da Ncd e Fratelli d’Italia. Con il 58,02% si è aggiudicato il ballottaggio lasciando Wladimiro Boccali, Pd, a un 42% scarso. E con 13 mila voti mancati all’appello al secondo turno: «Un dato inappellabile, la città ci gira le spalle, c’era un problema di valutazione della giunta uscente con un rapporto tra amministrazione e città che si è rotto molto prima», è l’analisi del renziano Leonelli.

Il primo cittadino uscente e ricandidato, Boccali, che era sostenuto anche dalla Federazione della sinistra e da Sel, si assume la responsabilità della sconfitta, «le elezioni si sono trasformate in un referendum sul sottoscritto a prescindere dai risultati ottenuti in questi anni, evidentemente non ho saputo trasmettere un messaggio di innovazione e non ho saputo far capire i nostri contenuti». Ma la presidente della regione, Catiuscia Marini, chiama in causa l’intero partito: il voto di Perugia «coinvolge il Pd dell’Umbria nella sua interezza – dice – e impone un’analisi franca e trasparente senza la quale non sarà possibile né svolgere la funzione di opposizione nella città né gettare solide basi politiche per il futuro». Anche per la deputata umbra del Pd Marina Sereni, il caso Perugia «non può essere archiviato come un incidente di percorso. Nel paese la geografia politica è cambiata, per la sinistra non esistono più da tempo zoccoli duri né zone sicure. La sconfitta interroga l’insieme del gruppo dirigente umbro e richiede una riflessione onesta e severa. Il Pd e il centrosinistra vincono là dove riescono a interpretare la voglia di cambiamento».