È un risiko impazzito quello che la crisi ucraina rischia di esportare nei paesi limitrofi, come la Romania, paese con ampie frontiere comuni con Kiev, ma soprattutto con una foltissima minoranza, oltre mezzo milione di persone che vivono nelle regioni ucraine di Cernovtsky e Odessa.

Non a caso l’allarme è montato negli ultimi giorni, dopo che il parlamento ucraino ha abolito la legge che tutelava le minoranze linguistiche. Un brutto segnale per Bucarest che rischia inoltre di ridestare il nazionalismo locale. Non a caso, il primo a reagire è stato Traian Basescu, il discusso presidente della Repubblica conservatore, salvato dall’impeachment solo grazie ad un intervento della Corte costituzionale, che si è fatto da tempo interprete di un rinnovato irredentismo nazionalista, oltre che di atteggiamenti apertamente razzisti verso i rom: di recente ha invitato le donne rumene «a fare più figli “per patriottismo”», per contrastare «la forte natalità dei rom che rischia di cambiare il profilo etnico del paese».

Dopo aver appoggiato i manifestanti di Majdan, Basescu usa ora toni minacciosi con gli avversari di Yanukovich. «L’Ucraina – ha dichiarato – potrà conservare la propria integrità soltanto se le minoranze nazionali avranno il rispetto dovuto».In realtà, scommettendo su una possibile implosione dello Stato ucraino, il presidente è tornato, con l’appoggio di alcuni quotidiani popolari, ad agitare il tema della «restituzione dei territori rubati da Stalin», cioè le zone delle regioni di confine di Cernovtsky, Kisinev e Odessa che fino al 1918 facevano parte della Romania.

È soffiando sul fuoco del nazionalismo che Basescu, il cui mandato, immunità giudiziaria compresa, termina a fine anno, immagina il suo futuro politico. In una zona dove ancora non è risolta la vicenda della Transnistria, regione russofona della Moldavia che scelse nel 1990 la via della secessione armata sostenuta da Mosca.

A Bucarest, per anni, nazionalismo, razzismo anti-rom e opposizione ai diritti della minoranza ungherese, hanno fatto la fortuna del Partito della Grande Romania, che sotto la guida di Corneliu Vadim Tudor era arrivato a raccogliere nel 2000 il 23% dei consensi. Ora il partito è in una grave crisi, non ha più alcun deputato nazionale ed è molto probabile che non riuscirà a confermare i tre che ha eletto a Bruxelles nel 2009, tra cui lo stesso Tudor che quest’estate si è anche visto soffiare la leadership da Gheorge Funar, l’ex sindaco della città settentrionale di Cluj, noto per le sue posizioni ultranazionaliste.

All’estrema destra niente grandi manovre, se non l’attività di piccole formazioni chiaramente neofasciste come il gruppo di Noua Dreapta, Nuova Destra, legato al circuito europeo di Forza Nuova e degli ucraini di Svoboda, che si ispira al leader antisemita d’anteguerra Codreanu, o per le continue campagne, e aggressioni, contro i rom in corso in tutto il paese: recentemente un blog neonazista di Timisoara, Nat88, ha offerto un compenso in denaro alle donne rom «che accetteranno di farsi sterilizzare».

Diverso il quadro tra i partiti di ispirazione populista o conservatrice. Qualche chance nell’intercettare gli umori nazionalisti potrebbero averla i Democratici Liberali dell’ex premier Emil Boc, molto vicini al presidente Basescu e che hanno già accolto alcuni deputati trasfughi del Partito della Grande Romania o il Partito popolare, fondato solo nel 2011 da Dan Diaconescu – la cui ascesa in politica è stata spesso paragonata a quella di Corneliu Vadim Tudor -, proprietario della rete «trash» Otv, «Specchio tv» che, sostenendo di voler «ristabilire i valori perduti del nostro paese», nel 2012 ha toccato il 13% dei consensi. Sta facendo sentire la sua voce patriottica anche il Partito nazionale liberale, nazionalista in politica estera ma thatcheriano in economia, guidato dall’ex ministro dello sport Crin Antonescu che solo due settimane fa ha deciso di mettere fine alla «grande coalizione» con i socialdemocratici del premier Victor Ponta che durava dal 2012.

Intanto Ponta ha già varato un nuovo esecutivo che al posto dei liberal-nazionali include però il partito della minoranza ungherese, l’Udmr, in base ad un accordo che prevede una rappresentanza proporzionale delle minoranze nelle istituzioni pubbliche del paese, nuovi diritti sul piano culturale e l’insegnamento anche in lingua magiara presso l’Università medica di Tirgo Mures in Transilvania. Tutti punti sotto tiro di nuove critiche e di proteste da parte dei nazionalisti rumeni.