La presenza della grande criminalità organizzata a Roma non è una novità. Nel 1968 Michele Sindona diventa capo della Società generale immobiliare. Nel 1982 l’Università di Tor Vergata acquista il rettorato dalla Banda della Magliana. Importati pezzi dell’economia e delle istituzioni pubbliche colluse con la criminalità derubricati a piccoli incidenti. C’è voluta tutta la bravura del procuratore Pignatone, degli inquirenti e delle forze dell’ordine per scoperchiare un sistema perfetto che da decenni si era invece incistato nella capitale. I nomi degli arrestati non lasciano dubbi. Boss malavitosi insieme a alla destra neofascista. Dirigenti di cooperative insieme a pedine dell’occupazione partitica delle istituzioni. Dobbiamo dipanare questo intreccio se vogliamo capire il baratro in cui è caduta la capitale.

Dobbiamo chiederci come sia stato possibile che una consorteria trasversale abbia potuto agire indisturbata e le risposte sono tre. La prima riguarda il fatto che da venti anni è stata cancellata ogni forma di regola nella conduzione della cosa pubblica. Nelle autorizzazioni commerciali, negli appalti; negli immobili da affittare (Di Stefano docet); nell’urbanistica contrattata che può decidere tutto e il suo contrario, non c’è segmento della vita pubblica che sia stata sottratta alle regole della trasparenza per essere affidata alla discrezionalità più assoluta.

La seconda causa riguarda il baratro etico in cui è caduta la politica.

Da troppi anni nell’aula del Campidoglio non esiste una opposizione degna di questo nome. Sulle questioni fondamentali vige un patto di ferro che l’inchiesta ha svelato. Destra e sinistra unite nella spartizione della cosa pubblica. La politica che privilegia gli affari e tace sullo stato devastante delle periferie urbane. Salvo poi stupirsi o cavalcare il dolore della parte più debole della società, come ha fatto Gianni Alemanno negli eventi di Tor Sapienza di questi giorni. E infine il terzo tassello: l’occupazione dei gangli dirigenziali delle amministrazioni pubbliche e delle società controllate. Si è spesso derubricata questo fenomeno come un innocuo compenso per i politici sulla via del tramonto. Non è così. L’Ente Eur affidato nelle mani di Mancini gestiva appalti milionari, vendeva patrimonio pubblico, concludeva valorizzazioni urbanistiche. E così tutte le altre società. Lo Stato cancellato da una spregiudicata consorteria bipartisan.

Sono questi i nodi che la politica deve affrontare. Nei decenni precedenti le denuncie dei partiti e di tanti intellettuali trovavano in piazzale Clodio quello che venne denominato il porto delle nebbie: una disattenzione a trovare il filo che univa il malaffare e la politica. Paradossalmente è proprio dall’ex palazzo delle nebbie che è venuto un segnale straordinario per tentare di rimettere la capitale d’Italia sui binari della legalità. E’ ora che anche le istituzioni pubbliche si liberino della zavorra dei corrotti e che la politica torni ad occuparsi della città e non degli affari.