Ha ragione Enzo Scandurra, rischiamo di aver già derubricato quanto accaduto negli ultimi giorni a Roma come un fenomeno naturale, un passaggio verso l’ennesima sconfitta della sinistra. E questo nonostante ci sia dell’eccezionalità nella «defenestrazione dall’alto» di Marino (Asor Rosa, sempre qui sul manifesto), in quelle 26 dimissioni arrivate prima e a prescindere da qualsiasi confronto nell’aula Giulio Cesare, l’unica deputata a fare da proscenio alla sfiducia di un sindaco, in quanto luogo degli eletti. È utile quindi alimentare il dibattito e la riflessione sui fatti.

Intanto proprio in queste ore con l’insediamento prima del prefetto Tronca quindi del cosiddetto «dream team» assistiamo in maniera netta a ciò che, strisciante, siamo andati denunciando – a Roma in particolare dopo l’esplosione di Mafia Capitale – da mesi: la politica sta sempre più lasciando il passo a figure tecniche. Magistrati, contabili, ex membri della Corte dei Conti, poliziotti. Così a Roma Renzi consegna il “sogno” della ripartenza a una squadra fatta quasi solo di prefetti o viceprefetti (ad eccezione di un dirigente della Ragioneria dello Stato), sui quali come per magia pioveranno i milioni di euro giubilari che per Palazzo Chigi erano impossibili da trovare finché sindaco era Marino. D’altra parte prima dell’arrivo del riservato Tronca da Milano, sempre un superpoliziotto era stato mandato da Renzi a «salvare Roma»: il prefetto Gabrielli. E Sabella, nominato assessore alla Legalità nella giunta capitolina. E da un magistrato come Raffaele Cantone è arrivata l’ultima polemica che ha scaldato le già tormentate cronache politiche romane, quel «Milano meglio di Roma».

Eppure, dall’esplosione dell’inchiesta Mafia Capitale, in tanti a sinistra e su questo giornale si sono sgolati nel dire che al malaffare e alla corruzione si risponde con più politica, e non con una cessione di sovranità alla tecnocrazia. Sempre la rinnovata contrapposizione Roma-Milano ci aiuta a capire un’altra trasformazione in atto (questa però da anni) nelle nostre città. Tronca è arrivato nell’Urbe infatti non per applicare il “modello Milano” (in migliaia metteremmo la firma sotto al modello Pisapia, quello del civismo che diventa protagonista della rinascita della città). Tronca è arrivato nella Capitale per applicare il “modello Expo”: la città ridotta a grande evento, sopra la testa, la concretezza quotidiana, persino la biologia dei cittadini. Una tendenza che in parecchi poco ascoltati, avevamo denunciato negli ultimi anni dell’era Veltroni.

Per poter ripartire allora la sinistra non può che partire da qui. Dalla mancata rielaborazione degli errori che portarono alla sconfitta del 2008. Da ciò che non dovrà più essere. E da quello che dovrà e potrà essere. A Roma c’è bisogno che i partiti della sinistra tradizionale si attrezzino per fare un bagno di società. Occorre costruire spazi di democrazia e partecipazione in ogni quartiere, dove innanzitutto ristabilire un rapporto di fiducia con le forze vive della società, fiducia che la vicenda della caduta di Marino ha tramortito. Occorre, molto prima di parlare di nomi, mettersi all’ascolto davvero di ciò che resiste alla crisi: le esperienze di mutualismo, la migliore cooperazione sociale, i luoghi dell’economia collaborativa, il nuovo sindacalismo, i ciclisti, l’antimafia sociale, gli intellettuali del vecchio (prezioso) e del nuovo corso. C’è un mondo fuori dalle sofferenti stanze della politica che aspetta di essere chiamato, pronto a mettersi in gioco. Solo così si potrà ricostruire una sinistra per Roma, che punti non a un sogno fatto di vetrine e paillette, ma alla vita concreta dei romani. Certo i tempi non saranno brevi, né facile sarà la navigazione, tanto più che la macchina della propaganda renziana è già partita. Ma non abbiamo più alternative. Anche gli ultimi alibi sono ormai caduti.

*consigliera Sel regione Lazio