L’aspetto forse più sorprendente dell’attuale situazione di Roma è la continua, indomita letteratura sulle sue condizioni, gonfia di amarezza e di amore deluso, che non cessa di esprimersi, nonostante appaia sempre più evidente l’impotenza generale di fronte all’abisso che avanza. Fior di urbanisti, architetti, sociologi, giornalisti, scrittori ci danno il quadro desolato della capitale più malata d’Europa, lasciando pur sempre un residuo messaggio di possibile salvezza.

ENZO SCANDURRA, che da anni dedica a Roma i suoi studi più appassionati, si è spinto a scrivere un romanzo distopico, Exit Roma (Castelvecchi, pp. 144, euro 17,50) disegnando l’immagine di una città del prossimo futuro, ormai capitolata nel fallimento e nell’abbandono.
Almeno per un aspetto, quel romanzo è il più vicino al destino prossimo di Roma. Se nessuno blocca e inverte l’attuale tendenza dei suoi abitanti ad acquistare e a utilizzare sempre più automobili, la città, prima o poi, conoscerà il giorno del giudizio. Il traffico si bloccherà in ogni punto del suo territorio, nessun veicolo riuscirà più a muoversi, l’incastro sarà totale e paralizzante, e ognuno sarà costretto a lasciare il proprio mezzo dov’è rimasto incatenato e tornarsene a piedi a casa. Le macchine avranno vinto l’assedio agli spazi pubblici e i cittadini vivranno nelle case, unico spazio urbano residuo.
Tra i libri che tuttavia continuano ad animare la speranza di una svolta nella traiettoria di un destino che appare segnato, merita una segnalazione il testo a più mani di Keto Lelo, Salvatore Monni, Federico Tomasi, Le mappe della disuguaglianza. Una geografia sociale metropolitana (Donzelli, pp.191, euro 22, postfazione di W.Tocci).

È UN TESTO INSOLITO, che è forse la più dettagliata endoscopia della capitale d’Italia. Non siamo di fronte alla consueta ricostruzione della informe crescita spaziale di questa città, che non è una più una città. C’è anche questo, ma l’analisi entra nelle viscere della sua composizione sociale. Attraverso un’accurata cartografia, ci liberiamo di immagini stereotipate di Roma e cambiamo la nostra idea di periferia e di centro (c’è una periferia anche nel centro storico), scoprendo i dati sulle disuguaglianze estreme che lacerano la città. Disparità non solo di reddito, ma soprattutto di formazione culturale, di opportunità di lavoro, di prossimità a servizi di qualità, di chances di vita. Tra un quartiere e l’altro passano fratture enormi, che sembrano sempre più acuirsi nelle aree marginali. Ad esempio nel quartiere Parioli risiedono otto volte più laureati che a Tor Cervara. È una distanza che sarebbe normale a Calcutta, ma che rivela non a caso un’arretratezza più generale.

AL CENSIMENTO del 2011 solo il 25% della popolazione romana compresa fra 25 e 64 anni risultava laureata, a fronte de 37% di Berlino, 46% di Parigi, 47% di Madrid, 54% di Oslo. Ma dentro questo ritardo ci sono altre specifiche marginalità, enclave di incultura sconcertanti, come nelle aree di residenza pubblica dove i laureati, calcolati su una popolazione da 6 anni in su, rappresentano addirittura il 4%.
Queste Mappe di Roma, che dividono la città in 155 zone comprendenti 15 municipi offrono un campionario ricchissimo di varietà e dislivelli che segnano la metropoli, anche comparati con quelli di Napoli, Milano e Torino. Le aree di maggiore disoccupazione e quelle che vantano più occupati; le zone dove si addensa la presenza di popolazione straniera, come all’Esquilino (1 residente su 4) o dove è insignificante, come a Tor Tre Teste (8 ogni 100); la concentrazione, fino a disegnare «due città» di popolazione anziana, come nella periferia storica (Pigneto, Aurelio, Prati, Della Vittoria); mentre oltre il raccordo anulare si raduna la popolazione giovane delle nuove famiglie (più di un milione di abitanti) che occupano gli spazi dell’agro romano punteggiandolo di residenze prive di servizi e di trasporti.

ANCHE IN FATTO di consumo di suolo Roma vanta elementi di distinzione. Nel decennio post-crisi 2008-2018 a Roma ne sono stati consumati quasi 32mila ettari, la cifra assoluta più alta d’Italia, che naturalmente in percentuale (Roma è il comune più vasto d’Italia e uno dei più grandi d’Europa) risulta minore di Napoli (63%) Milano (57%) e Torino (66%). Un dato che mostra le ragioni di mera speculazione fondiaria alla base di tanta cementificazione è che almeno 50mila case rimangono vuote, mentre la popolazione ristagna. E aumentano i senza casa.

LA POSTFAZIONE DI TOCCI è un saggio a sé, che meriterebbe una pubblicazione autonoma, tanto ricca è di rimandi storici, di informazioni anche sulle luci oltre che sulle tante ombre di Roma, e di possibilità future. Basti ricordare il giudizio che dà sulle linee della metro. Secondo uno studio del Comune, se fosse completata la linea C e realizzata la D, da Salario a Portuense, i parametri della mobilità raggiungerebbero i «livelli delle migliori città europee». E soprattutto le riflessioni sulla città nuova del Grande Raccordo, dove si concentra la popolazione più giovane, con più occupati, più donne laureate, intensa attività culturali, ecc (Tor Bellamonaca è uno degli esempi più vistosi).
Realtà sociali che potrebbero far rinascere Roma, se esistesse anche un ceto politico di sinistra capace di progetto.