Il nuovo decreto Salva Roma, che oggi arriverà alla camera e sul quale si terrà oggi una seduta straordinaria dal Campidoglio, è uno degli effetti a cascata dalle politiche della Troika, ovvero il ricatto della copertura del disavanzo condizionata all’attuazione dell’eterna ricetta neoliberista: tagli alla spesa pubblica, al welfare, liberalizzazioni, privatizzazioni, dismissioni. Vi è anzitutto una doppiezza pilatesca del governo che da un lato cerca deroghe al patto di stabilità schierandosi con chi contesta l’austerity, dall’altro fa la voce grossa con il più piccolo. Si ricorre al ricatto debitorio, trasferendolo dalle relazioni internazionali ai rapporti interistituzionali perché non si è riusciti a dar forma a un quadro giuridico chiaro sui servizi pubblici locali dopo il referendum del giugno 2011.

Ma al contrario di quanto si pensa, Roma Capitale in passato non è stata a guardare, trasferendo il comando alle partecipate in modo ancora più velleitario. La deliberazione n. 70 del 16 marzo 2012 (sul contenimento della spesa di Roma Capitale e delle partecipate) ha diposto tagli delle consulenze (per l’80%), delle missioni (50%), del lavoro autonomo (50%), del lavoro a tempo indeterminato (riduzione delle assunzioni al 40% delle cessazioni). Tagli che prescindono però da un’analisi dei servizi; e che comunque non sono stati presi sul serio dalle partecipate. Nell’ottobre 2013 una relazione del dipartimento Partecipazione e Controllo del Comune sull’attuazione della delibera 70 riferisce che in molti casi le partecipate neanche inviano la documentazione necessaria ai controlli.

Invece di favorire un ridisegno delle autonomie locali, in concomitanza con la necessità di riempire di contenuto le aree metropolitane valorizzando le vocazioni dei territori, si tenta di delegittimare l’ente locale dal ruolo di soggetto capace di pianificare l’accumulazione. Con un pericoloso sottinteso che pervade tutto il Salva Roma: la metropoli è oggetto di valorizzazione economica pianificata dall’alto. E le reti locali dei sindacati, dei movimenti, delle forze produttive, lo stesso ente locale, sono solo ostacoli a questo processo di valorizzazione.

In Francia, tanto per guardarsi intorno, si va in senso opposto, dando risorse sia ai governi locali sia ai cittadini. Insieme alla riforma dell’area metropolitana (che passa da 700 a 1200 km quadrati, comunque al di sotto della superficie romana), il “Grand Paris” prevede una più larga corona infrastrutturale di metro e treni per la quale il governo nazionale ha già stanziato 30 miliardi da qui al 2025.

Di fronte a questo scenario, bisogna avere il coraggio di dire che il governo tenta la limitazione di sovranità non solo dell’ente, ma delle stesse comunità locali, attraverso operazioni politiche mascherate da tecniche di contabilità. Ovvero il commissariamento di fatto dettato dal tavolo tecnico e dalla discrezionalità attribuita all’esecutivo nelle valutazioni finali. Se vogliamo uscire da questo cappio, il nostro metodo dovrà essere diverso: i Comuni dovranno fare interventi di razionalizzazione delle funzioni e aggredire sprechi e clientele, ma dovranno nel frattempo stringere un nuovo patto con le comunità, con i sindacati e le forze produttive per definire un piano di uscita dalla crisi che affermi la difesa della sovranità e della democrazia locale.