Rom e Sinti: fuori dal campo dell’emergenza
ROM E SINTI Fuori dal campo dell'emergenza
ROM E SINTI Fuori dal campo dell'emergenza
Superamento definitivo dei «campi nomadi» e fine della sciagurata stagione di politiche pubbliche che dal 2008 ha portato alla segregazione, nelle periferie delle città e nel tessuto sociale del paese, di migliaia di persone Rom. Questo è il contenuto di una risoluzione approvata dalla commissione tutela dei diritti umani del senato. Ovvero la richiesta urgente al governo di attuare l’insieme di misure e pratiche previste dalla Strategia nazionale d’inclusione di Rom, Sinti e Caminanti, varata ormai tre anni fa su sollecitazione dell’Ue. La risoluzione della commissione del senato ha il suo cuore nella sollecitazione ad abbandonare definitivamente quell’approccio emergenziale e assistenzialista che ha di fatto privato le comunità rom della possibilità di accedere al pieno godimento del sistema dei diritti, a partire dal mancato riconoscimento della loro dignità sociale.
Sta proprio nel ricorso allo strumento dei campi l’esempio più bruciante dell’esistenza di un metodo, deliberato e sistematico, utilizzato in questi anni nei confronti di una minoranza. Un metodo fatalmente destinato a produrre una irresistibile spirale, dove la decisione pubblica di creare il ghetto ha determinato una tendenza all’ auto-ghettizzazione da parte degli interessati, stigmatizzati e, allo stesso tempo, tentati dall’idea di fare di quel ghetto un presidio di identità e un perimetro chiuso da rivendicare e in cui esercitare una sorta di governo-domestico (anche illegale). E se all’esecutivo si chiede di dimostrare la volontà di affrontare una situazione drammatica, e assai complessa e delicata, adottando strumenti adeguati e risorse finanziarie sufficienti, a uno sforzo ancora più urgente sono chiamate le amministrazioni locali. Su queste ultime, infatti, grava la responsabilità di procedere materialmente al superamento dei campi, mettendo in atto percorsi di inclusione abitativa e sociale (soluzioni individuali o per insediamenti di dimensioni ridotte, sostegni per l’affitto, per la ristrutturazione e per l’autocostruzione…).
I centri visitati dalla Commissione per i diritti umani nel corso dell’indagine che ha prodotto la risoluzione, elaborata in particolare dalla senatrice Manuela Serra, hanno riportato immagini di degrado estremo, condizioni igieniche precarie, spazi asfittici, in un quadro generale di massima vulnerabilità. Come il campo di Giugliano, in Campania, allestito su una discarica, in completo abbandono e dove vivono centinaia di bambini. O come il «centro di raccolta» di via Visso a Roma, dal nome grottescamente enfatico di «Best House Rom»: una serie di loculi privi di aria e di luce all’interno di un magazzino inutilizzato, lontani dall’assicurare condizioni di vita accettabili.
Oggi, finalmente sembra manifestarsi qualche positiva novità. L’assessore alle politiche sociali di Roma, Francesca Danese, ha dichiarato il suo impegno a chiudere la struttura e a garantire agli abitanti di via Visso una sistemazione dignitosa e l’avvio di un percorso condiviso. E il sindaco Marino più volte ha ribadito di voler superare l’attuale sistema, che coinvolge circa ottomila persone.
L’amministrazione comunale di Milano si muove in tale direzione dal 2013, con un piano concreto e ragionevole che si sviluppa attraverso una serie di azioni e interventi graduali, nel segno della legalità e del superamento dell’impostazione assistenzialista. E si hanno i primi piccoli risultati. Come si vede, ci si muove in una prospettiva di radicale mutamento dell’approccio finora utilizzato e della valorizzane, allo stesso tempo, di misure e provvedimenti ispirati da una concreta fattibilità. Non si può fare diversamente.
Per una serie di circostanze, la «questione rom» è diventata in Italia, negli ultimi anni, uno dei fondamentali fattori di allarme sociale, frutto velenoso di una scellerata campagna di colpevolizzazione. Sulla base di alcuni dati incontestabili (tasso di criminalità, sfruttamento dei minori per accattonaggio e gravi ostacoli alla convivenza) si è attivato un meccanismo assai pericoloso di creazione del capro espiatorio. Sarà un’impresa faticosa e dall’esito incerto, ma la sola speranza di «uscirne vivi» è la realizzazione di politiche totalmente nuove e finalmente razionali e intelligenti.
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