Londra, 1969. Cosa ci fa una rockstar chiusa nel bagno di una redazione di una rivista musicale in preda alle allucinazioni? Prima di chiarire il mistero, conviene fare un passo indietro e tornare al 1967, non però a Londra, bensì sulla costa ovest americana, a San Francisco. Nel novembre di quell’anno Jann Wenner, un ambizioso giovane che aveva appena interrotto gli studi a Berkeley e si era infatuato del movimento generazionale che stava travolgendo la società americana, decise di fondare una rivista dedicata al rock’n’roll e alla cultura giovanile chiamandola Rolling Stone. Era un azzardo e i primi numeri del magazine rimasero pressoché invenduti, ma Wenner era tanto spregiudicato quanto abile nel tessere relazioni e in pochi mesi Rolling Stone divenne un punto di riferimento e una novità dirompente nel panorama giornalistico. Con un piccolo problema. I Rolling Stones erano in quegli anni, ovviamente con i Beatles, la maggior rock band del pianeta e non accolsero bene l’idea che una testata giornalistica citasse (anche se al singolare) il loro nome.

DIFFIDE
In realtà l’espressione «pietre rotolanti» non era un’invenzione di Mick Jagger e soci, ma una citazione di una canzone di Muddy Waters che a sua volta si riferiva a un vecchio proverbio. Sta di fatto che nel 1967 il nome Rolling Stone non poteva che ricordare al pubblico il quintetto londinese. La band accolse l’operazione come un affronto, soprattutto quando il magazine iniziò a circolare d’importazione anche in Inghilterra e quando ebbe la sfacciataggine di stroncare selvaggiamente, in una recensione firmata da Jon Landau, il nuovo album Their Satanic Majesties Request. Gli avvocati si misero all’opera inviando una velenosa lettera di diffida.
Fu l’inizio di un rapporto di amore e odio tra Rolling Stone, la rivista, e i Rolling Stones, il gruppo rock, destinato a durare decenni e ben documentato da due recenti biografie.

«Sticky Fingers: The Life and Times of Jann Wenner and Rolling Stone Magazine», la biografia d Jann Wenner scritta da Joe Hagan

La prima Sticky Fingers: The Life and Times of Jann Wenner and Rolling Stone Magazine scritta dal giornalista Joe Hagan, la seconda, uscita da poche settimane, firmata dallo stesso Jann Wenner e intitolata Like a Rolling Stone. Il nuovissimo libro di Wenner nasce proprio come risposta al lavoro di Hagan. Sticky Fingers infatti doveva essere una biografia autorizzata, ma Wenner ne ha rinnegato il contenuto, dedicandosi poi a narrare in prima persona le proprie memorie. Entrambi i libri però concordano nel presentare come uno spettacolare fallimento l’edizione inglese di Rolling Stone che nacque e morì a Londra nel 1969 e che era il frutto di un accordo e di una collaborazione tra Jann Wenner e Mick Jagger. L’avventura ha inizio nell’estate del 1968, quando Wenner incontrò per la prima volta gli Stones ai californiani Hollywood Studios dove si stavano ultimando le registrazioni di Beggars Banquet e propose a Jagger di rinunciare a ogni disputa sul nome, avanzando l’idea di creare una collaborazione per un’edizione «made in London» del magazine che stava iniziando a dettare gusti e tendenze nel mondo giovanile. La rockstar si dimostrò subito interessata. Wenner come atto di buon auspicio mise per la prima volta Jagger in copertina e anticipò i contenuti di Beggars Banquet, esaltandolo come il miglior album del gruppo e paragonando i testi del cantante a quelli di Dylan (una discreta giravolta, visto che solo pochi mesi prima Jon Landau aveva definito le sue liriche «imbarazzanti»).
Qualche tempo dopo Wenner volò a Londra dove iniziò a delineare i contorni della nuova testata con alcuni esponenti dell’editoria locale, tra cui Tony Elliott, il fondatore di Time Out. Jagger aderì con entusiasmo al progetto non nascondendo le sue ambizioni. «Sono pronto a trovare io i soldi – scrisse in un appunto -. Non voglio che sia una copia carbone del Rolling Stone americano. Non voglio una tiratura di 10mila copie. Dobbiamo puntare a 60mila entro un anno». Mick voleva anche un controllo sui contenuti del magazine che immaginava come la voce del rinascimento londinese di quegli anni, non solo fatto di musica, ma anche di arte, teatro sperimentale e moda. Fu lui quindi a finanziare l’operazione e a trovare lo staff, tra cui il direttore, una giovane ragazza chiamata Jane Nicholson. Alla base formalmente c’era una comproprietà al 50% tra Wenner e Jagger. Astutamente il cantante però si rifiutò di acconsentire a una liberatoria sull’uso del nome «Rolling Stone».

REFUSI
L’edizione britannica del magazine, che aveva una scenografica e costosa redazione in Hanover Square, vide finalmente la luce nel giugno del ’69; il primo numero aveva in copertina Pete Townshend degli Who. «Il piccolo staff era simpatico, ma erano più interessati ad atteggiarsi a hippie che a essere giornalisti – ricorda Wenner -. Non avevo nessun potere di contraddire gli ordini di Mick». Subito le cose si misero male. Londra era sì al centro di un rinascimento, ma la Gran Bretagna era ancora conservatrice e bigotta, le pubblicazioni underground erano sottoposte a censure e sequestri, rendendo difficile il rapporto con inserzionisti, distributori e fornitori.
Jagger si disinteressò quasi subito alla routine editoriale e andò in Australia a girare un film, non prima di aver commissionato a Jim Dine, un artista dadaista, una grafica per la copertina. Quando Wenner vide pubblicato il risultato (uno schizzo di quattro cuori con i capelli) rabbrividì, intuendo lo scarsissimo appeal commerciale dell’immagine. La redazione, che aveva ricevuto disposizione dallo stesso Jagger di ignorare Wenner, si divertiva alle spalle dell’editore americano. Alcol e marijuana erano il passatempo preferito dai giornalisti. Furono così inevitabili i clamorosi refusi. Bob Dylan divenne Bob Dillon e in copertina il nome di Ray Davies dei Kinks divenne Davis. Il tracollo definitivo arrivò però con un party promozionale organizzato presso la redazione a cui vennero invitati artisti e discografici. Uno degli ospiti d’onore era Marc Bolan, leader dei T. Rex. I resoconti di quella giornata sono reperibili in alcuni libri che raccontano gli anni Sessanta londinesi. Le versioni non sono concordi, ma danno un quadro dell’accaduto. Agli ospiti vennero serviti biscotti alla marijuana e succo d’arancia tagliato con LSD e stricnina. Le conseguenze furono tremende, Bolan si barricò in bagno in preda ad angoscianti allucinazioni, fu convinto ad uscire da un medico e soccorso, ma le visioni durarono due giorni nonostante i farmaci anti-psicotici. Ne riemerse giurando di non assumere mai più acidi. Gli altri invitati si misero a vomitare o svennero. Virgina Clive Smith, una grafica che partecipò alla festa, ha rievocato così la sua reazione: «Passai tutta la serata sul pavimento del bagno. Era il posto più sicuro. Ogni volta che mi alzavo rischiavo di cadere». In molti finirono in ospedale. Fu l’inizio della fine. Wenner prese l’iniziativa e, senza interpellare Jagger, decise di cessare le pubblicazioni mettendo un lucchetto alla porta della redazione. «Siete solo un gruppo di ragazzini dilettanti che giocano a fare un giornale», scrisse a Jane Nicholson. I giornalisti tentarono di proseguire il lavoro cambiando il nome alla testata e implorando in una lettera a Jagger un intervento. Ma era il 6 dicembre 1969 e i Rolling Stones stavano toccando il punto più basso della loro giovane carriera con la sciagurata esibizione ad Altamont in California che si concluse in tragedia. Jagger non era più interessato al mondo editoriale, doveva salvare la sua reputazione. Wenner archiviò per molto tempo l’idea di esportare il suo magazine. L’amore e odio tra i due è proseguito per i successivi 50 anni.