I disegni erotici di Rodin furono decisivi per gli artisti viennesi, soprattutto Schiele. Nella primavera del 1912, mentre Schiele viene addirittura incarcerato per «pubblica immoralità», va in scena a Lione, nelle sale dell’ex-arcivescovado, lo scandalo di Rodin, duecento fogli giudicati da una campagna di stampa, in testa «Le Charivari», pura e semplice provocazione pornografica: un episodio da ricordare anche per la reazione democratica del sindaco di Lione, Édouard Herriot, in difesa dell’artista, che «dopo tanta fatica… avrebbe il diritto di vedere spegnere tanti rancori e tanti fanatismi che gli hanno straziato la vita».

Modella in movimento

Ma se il disegno erotico di Schiele è sferzante e ‘tagliato’, quello di Rodin accompagna nel modo più organico le figure. Alle spalle di Schiele c’è l’ossessione grafica di radice tedesca, dietro Rodin il naturalismo francese. Come Monet in campagna spiava con il pennello le ore, gli assi della luce, allo stesso modo Rodin registra il movimento della modella, dopo averle chiesto di spogliarsi e di agire liberamente nello spazio. Attenzione: il metodo accademico prevedeva tutt’altro, che il nudo si mettesse in posa, su precisa indicazione dell’artista; qui invece alla natura viene chiesto di esprimersi «al naturale», senza intervento di preconcetti compositivi.

In quel moderno dialogo platonico, scritto da un probabile appassionato di Zola, che sono le conversazioni di Paul Gsell con Rodin, questi ha chiarito come, nel documentare il movimento, egli intenda opporsi al procedimento fotografico, che ferma nello scatto l’immagine, studiandosi di restituire il continuum: un perfetto contemporaneo di Bergson, il quale nel 1889 aveva teorizzato il movimento in quanto «sintesi mentale», «processo psichico e di conseguenza senza durata». Nel disegno del nudo Rodin, per documentare il fluire del movimento, si inventa un metodo di tipo «stenografico». Può farlo perché, come testimonia Gsell in visita al Deposito dei Marmi (uno dei tre atelier di Rodin; gli altri: l’Hôtel de Biron, poi divenuto museo a lui dedicato, e lo studio di Meudon), ha ormai una familiarità ‘greca’ «con lo spettacolo dei muscoli in movimento». In una dichiarazione raccolta nel 1906 da Anthony Mario Ludovici, che ha sostituito Rilke come suo segretario, egli afferma che il corpo deve «sentirlo sulle dita. Tutto deve scorrere dal mio occhio alla mia mano». Disegnando, non distoglie l’occhio dalla modella: «Se avessi abbassato lo sguardo, il flusso si sarebbe fermato». Questa «scrittura automatica», non selezionando a priori, impedendo l’azione di interdetti morali o estetici, gli consente di entrare nei più segreti recessi del corpo. Nel 1902 egli aveva confessato, del resto, di avere provato una certa paura a lasciarsi andare: «Ho osato piano piano…, poi a poco a poco, davanti alla natura, ho iniziato a comprendere meglio e a liberarmi con più decisione dei pregiudizi per amarla, mi sono persuaso e ho provato».

Dopo i disegni neri

Questi disegni di nuovo tipo appaiono nell’arte di Rodin verso la metà degli anni 1890. Un compatto corpus grafico li aveva preceduti, i «disegni neri» come li ha definiti Bourdelle, suo collaboratore, a indicare la tenebrosa immaginazione da cui erano sortiti, a partire dalla fine degli anni settanta, quasi in parallelo alla nascita dell’opera-dannazione – per Werner Hofmann «il suo Faust» – La porta dell’inferno. Un’altra scultura, di significato altrettanto tragico nella vita di Rodin, è legata, con tutta probabilità, alla scelta di intraprendere, attraverso il disegno, la ‘discesa’ nel sesso femminile, che si sarebbe tradotta in una mastodontica galleria del voyeurismo (2300 i nudi su carta del Musée Rodin censiti da Claudie Judrin). Si tratta del Monumento a Balzac, il più ambizioso tentativo da lui condotto, riallacciandosi al Daumier plasticatore, di rompere con la forma chiusa ottocentesca, di rappresentare la scultura nel suo farsi anzi nel suo sorgere dall’informe: perciò non solo fu rifiutato dalla Societé des Gens de Lettre, che l’aveva commissionata, ma anche messo all’indice dalla società di buon gusto. La radicalizzazione erotica di Rodin può essere forse letta come una reazione a questo scacco: reazione che sposta su un altro terreno la trincea della sua personale modernità.

Fra i disegni erotici di Rodin un capitolo a sé costituiscono quelli che erano contenuti in cartelline da lui stesso etichettate «museo segreto, collezione privata»: 121 immagini che il Musée Rodin ha deciso di pubblicare, per la prima volta integralmente, in occasione del centenario della morte dello scultore: Rodin, son musée secret. Il volume, curato da Nadine Lehni con prefazione di Catherine Chevillot, viene tradotto in Italia da Rizzoli con il titolo Rodin, i disegni proibiti, e il sottotitolo, inesatto, La raccolta completa dei capolavori erotici (pp. 272, euro 39,00). Finora il fondo si conosceva solo sotto forma di piccole illustrazioni in bianco e nero comprese nell’Inventaire des dessin du musée Rodin; appena una ventina di fogli erano stati esposti nel 2006 all’Hôtel de Biron. Non è ben chiaro il criterio in base a cui l’artista destinava al suo «museo segreto» certi erotica piuttosto che altri: fra quelli lasciati fuori, infatti, ce ne sono di analoghi, sia come tematica sia nel grado di oscenità, e d’altra parte alcuni, che sicuramente facevano parte dell’insieme «maledetto», sono andati dispersi, ad esempio i due che Alfred Stieglitz, primo responsabile della fortuna precoce di Rodin in America, ebbe direttamente dallo scultore nel 1911, quando gli fece visita nell’atelier di Meudon in compagnia di Edward Steichen (un focus su quel che significò Rodin per i due maestri della fotografia modernista è attualmente disponibile nella mostra del centenario al Metropolitan di New York).

«Alcuni erano stati visti qua e là, ma era difficile immaginare che fossero raccolti in un esercito aggressivo, ordinato, capace di aprire un varco senza precedenti nella rappresentazione del corpo». Nel modo di descrivere, 1994, «le secret de Rodin», Philippe Sollers indica implicitamente il campo entro il quale è opportuno situare quei disegni, in gran parte dedicati all’autoerotismo e all’omosessualità femminile: un certo Novecento francese, segnato dal pensiero di Sade, nelle cui narrazioni la donna, totalmente indifferente all’universo maschile e tanto più in presenza del suo occhio, diviene macchina celibe, motore di significati alternativi e inattingibili. Più l’uomo vuole penetrare con lo sguardo, più la donna si rende autonoma e fantasma.

Un armadio a Meudon

Nadine Lehni richiama la scena-madre di questa linea culturale (di cui la «misoginia femminista» di Duchamp rappresenta forse il capitolo maggiore), cioè a dire il famoso cerimoniale messo a punto da Lacan nel mostrare ai suoi ospiti L’origine del mondo, il dipinto di Courbet da lui acquistato intorno al 1954: secondo la testimonianza di James Lord, che gli fece visita subito dopo in compagnia di Dora Maar, Lacan ‘spizzava’ il quadro-vagina facendo scivolare via una sottile tavola, Terre érotique, dipinta (su commissione) da André Masson con lo scopo, insieme, di alluderlo e secretarlo. Un modo dello sguardo alla cui radice, viene suggerito, troviamo il metodo di «rivelazione progressiva» messo a punto da Rodin per svelare ai curiosi le sue piccole terrecotte licenziose, in un armadio «delle meraviglie» a Meudon.

Nei disegni su carta velina del «museo segreto», matita di grafite (a tratto e a sfumato) accompagnata a volte da ‘sporcature’ in acquerello o in inchiostro nero che introducono, entro la ‘crudeltà’ del soggetto, un certo grado di sublimazione, quel che colpisce è la funzione libertina affidata al libero gioco del movimento. Tutto vibra e questa vibrazione deriva, almeno in parte, dalla scoperta, che Rodin fa negli anni maturi (e tarda anche rispetto al suo innestarsi nella cultura europea), della xilografia giapponese, mediatagli dal biografo di Utamaro e di Hokusai Edmond de Goncourt.

Non solo: proprio Edmond testimonia nel Journal, alla data 23 luglio 1891, l’interesse appassionato di Rodin per il «serpeggiamento», l’«ondulazione» delle danzatrici giavanesi, viste all’Esposizione Universale del 1889. Nel 1906, poi, all’Esposizione coloniale, egli rimase folgorato, traendone un insieme di sognanti sketch acquerellati, dalle sottili snodature delle ballerine cambogiane: «Mi hanno insegnato movimenti che mai avevo incontrato finora» (dichiarazione al Figaro). Il corpo in quanto organismo dinamico, il movimento quale sintesi mentale sono capisaldi, evidentemente, nell’arte di Rodin, a partire dal primo grande getto, L’Età del Bronzo, ma è la grafica erotica della stagione finale, in cui riversa l’esperienza orientalista, a mostrargli qualcosa di sostanzialmente diverso dal titanismo e dal frammentismo plastico: a spezzare, in lui, le ultime catene della tradizione.