Il video, reperibile in rete, risale al giugno del 2018. Si vede Rocco Casalino, all’epoca responsabile della comunicazione del M5S, davanti a un televisore dal quale Enrico Mentana sta conducendo una delle sue dirette fluviali. Casalino compulsa il telefonino con fare allusivo. Poi spedisce un messaggino, accompagnandolo con la mano in direzione dell’anchorman del piccolo schermo. L’attenzione dello spettatore si rivolge verso Mentana, che prende in mano il suo telefono e annuncia con enfasi la notizia che tutti stavano aspettando: «’Ci sono le condizioni per un governo politico M5S Lega».

LA SCENA è piena di simboli. C’è un ex personaggio televisivo, Casalino, che dalla televisione è stato spremuto, quasi triturato. Sembra godersi la sua rivincita. Ha in mano la notizia dell’anno, quella che annuncia la nascita di un governo tra M5S e Lega fino a pochi giorni prima impensabili. La diffonde mettendo in scena tutto il suo potere, utilizzando il suo smartphone per guidare la televisione, come fosse un telecomando magico. C’è lo schermo della televisione e quello di YouTube, dal quale viene divulgato il video. Il mondo analogico, dal quale Casalino proviene, e quello digitale, al quale appartiene il M5S e al quale il transmediale Casalino è approdato anche in forza dei suoi trascorsi televisivi.

CASALINO, poi diventato portavoce di Giuseppe Conte nel corso dei due governi, è un segno dei nostri tempi. È un personaggio del quale è difficile scrivere senza rischiare semplificazioni o stereotipi. Il portavoce (Piemme, pp. 267, euro 19,90), memoir di Casalino, forse non è l’autobiografia della nazione ma certamente è una trama che col suo sovraccarico di metafore attraversa la storia del paese. Se ogni storia è storia di parricidi l’incipit della storia di Casalino raccontata da lui stesso è durissimo. Il genitore è in punto di morte, in un letto d’ospedale devastato da un cancro. Il figlio, memore delle violenze subite dalla madre, gli dice: «Muori. Devi Morire». Rocco nasce 22 anni prima a Frankenthal, a 600 chilometri da Berlino. I suoi genitori sono emigrati da Ceglie Messapica, nel brindisimo. L’educazione renana del giovane Casalino è dura, subisce il razzismo e razionalismo. Per sopravvivere aderisce al culto del merito e della competizione. Impara il tedesco e quasi disimpara l’italiano. Alla fine degli anni Ottanta la famiglia Casalino torna in Puglia. Qui scopre la politica. A sinistra. «Per un lungo periodo sono stato di estrema sinistra, un comunista. Ora mi suona come una brutta parola». Studia a Bologna dove scopre che la politica è un sistema bloccato. «Chi era fuori era fuori chi era dentro era dentro».

LA DELUSIONE successiva viene dal lavoro. Nel 2000 si laurea col massimo dei voti in ingegneria. Ma scopre che i grattacieli a vetri non sono quelli dei film americani. Lì dentro ci sono call center. «Mi state fregando ma siamo talmente disperati che veniamo ugualmente da voi» dice sulla vita agra dell’ingegnere. All’ambiente gay di Bologna preferisce quello di Ceglie. «Si parlava poco si faceva molto», racconta di una supposta «età dell’oro» dell’omosessualità clandestinità. La storia di Casalino assume i tratti ricorrenti della forma di vita che potremmo definire neoliberale. La vendetta contro un padre violento si traduce nella ricerca di altri padri (definisce Giuseppe Conte «il padre che tutti sogniamo»), quasi alla ricerca dell’autorità. Quella contro lo sfruttamento diventa rivendicazione del merito. «Era come se provocassi la società e volessi anche il consenso della società», scrive. Della partecipa alla prima edizione del Grande fratello, nel 2000 ammette: «Volevo un riconoscimento, sentirmi migliore degli altri».

AL GF È BRAVO a fare manovre interne per non finire in nomination ma è inviso al voto popolare, in un curioso ribaltamento della narrazione sui 5 Stelle, destinati a dilagare tra la gente ma a zoppicare tra i palazzi. Prima del ritorno alla politica Casalino nella scuderia di Lele Mora ridiscende gli inferi lastricati di gettoni di presenza delle ospitate televisive: «Sono bravo a interpretare il ruolo dello stronzetto». Questa parte lo perseguiterà fino ai giorni nostri. Quando il filone si esaurisce Casalino decide di fare il giornalista. Va a TeleLombardia, impara i rudimenti del mestiere e l’arte della rassegna stampa. La sintesi ragionata delle notizie e i trucchi davanti alle telecamere gli tornano utili quando, e siamo nel 2013, il Movimento 5 Stelle catapulta decine di esordienti in parlamento. Casalino scala velocemente le gerarchie degli strateghi della comunicazione grillina all’epoca ancora massicciamente presidiata da Gianroberto Casaleggio, altro padre ritrovato. Cita i pregiudizi dei giornali ma omette di menzionare le tecniche della bestia pentastellata, la galassia di siti che il primo Casaleggio usa per amplificare il messaggio e abbassare il livello del discorso in modo che i 5 Stelle svettino. «La mia forza, il mio vero talento, sta nel conciliare mondi opposti, dialogare con mondi opposti, capire mondi opposti», riflette Casalino. Fino alla storia recente: arriva a incontrare i grandi del mondo accanto a Giuseppe Conte, traduce in tedesco per Merkel, stringe la mano a Trump. E la sua storia sembra quella di un Bel Ami postmoderno.