La poesia è stata il focus incandescente della longeva e complessa attività di Roberto Roversi (mancato a ottantanove anni nella sua Bologna il 14 settembre del 2012), straordinaria figura di intellettuale militante in senso etico prima che politico, fedele a una ricerca di verità eretica e tuttavia solidale con i suoi storici compagni di via, da Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti (redattori di «Officina», che fu in tutto la sua rivista a metà degli anni Cinquanta) a Elio Vittorini, Giorgio Bassani, Leonardo Sciascia, Vittorio Sereni e, vicino a lui fino all’ultimo, l’indimenticabile Gianni Scalia dentro un reticolo di contatti durati ben oltre le ipoteche e gli interdetti della industria culturale. Ad essa Roversi oppose il senso di una totale autonomia tradotta in scelte rigorose come quella di negarsi ad ogni pubblica prebenda (per tutta la vita gestì a Bologna con sua moglie Elena Marcone la Libreria Antiquaria «Palmaverde» in fondo a via Castiglione, punto di riferimento per almeno due generazioni di giovani, che sempre accoglieva con grande disponibilità) e poi, nei pieni anni Sessanta, nella decisione di sottrarsi all’editoria ufficiale ciclostilando e distribuendo di persona Le descrizioni in atto, uno dei libri essenziali del secondo Novecento.

NEMMENO È UN CASO che ogni sua opera Roversi abbia voluto dedicarla a Th., sigla che in latino rievoca Tommaso Campanella, poeta di rime aspre e petrose, eretico colpito a morte dall’Inquisizione nelle cui sonorità si anticipa la vena espressionista di Rebora, di Jahier e dei lirici tedeschi (Hoelderlin e senz’altro Rilke) che pure presiedono alla sua formazione. Lo conferma oggi Non isolarsi ma ascoltare. Antologia poetica con cui Pendragon (pp. 158, euro 15.00) ricorda Roversi nel decennale dalla morte insieme con i contributi critici di Marco A. Bazzocchi, Marco Giovenale, Matteo Marchesini e Fabio Moliterni che introducono le sezioni poematiche in cui è scandita la parabola del poeta bolognese: Dopo Campoformio (1962-’65), Le descrizioni in atto (1969-’90) e L’Italia sepolta sotto la neve (2010) cui si aggiunge una appendice di testi dispersi e meno frequentati. L’esordio aderisce alla poetica di «Officina» e dunque ad un rigetto sia della clausura ermetica sia del populismo neorealista, liberando invece un risentimento di natura etico-politica che muove dalla delusione per il diniego generalizzato, ipocrita e protervo, dei valori della Resistenza cui il giovanissimo Roversi aveva partecipato combattendo in Piemonte fra i partigiani di Ferruccio Parri.

«CAMPOFORMIO» è appunto il sinonimo di una ambigua conciliazione, il nome che designa un presente in conflitto con la memoria ritrovata in chiazze espressioniste di colori lividi, aspri, se il poeta arriva affermare in un incipit: «Mai anni peggiori/ di questi che noi viviamo,/ né stagione più vile coprì di rossore la fronte asciutta italiana,/ cadavere fulminato”. Agli occhi di Roversi c’è un filo nero che strangola, a cadenza fatale, prima il Risorgimento poi la stessa Resistenza come parallelamente ribadiscono due suoi romanzi sperimentali (Ai tempi di re Gioacchino, ’52 poi col titolo Caccia all’uomo, ’59) e Registrazione di eventi (’64), referto obiettivo e spasmo nevrotico al cospetto del Miracolo economico e della cosiddetta società affluente. Identico è lo spazio in cui prendono corpo Le descrizioni in atto, il poema con cui Roversi sfida la neoavanguardia sul suo medesimo terreno accettando cioè la messa in mora del testo tradizionale, procedendo per blocchi e sistematiche inserzioni alla maniera del collage (qui Giovanni Raboni evocò il particolare surrealismo del Garcìa Lorca di Poeta en Nueva York) o di una vera e propria action poetry, però introducendovi elementi contrastivi e cioè il fastidio e il rovello di chi – scrive Marchesini – al contrario del Gruppo 63 «non teme di mostrare insieme col sarcasmo la sua torva amarezza, né di additare le domande elementari e tremende che continuano a proporsi con urgenza».

COME ACCADE nella stupenda Undicesima descrizione in atto, dove si legge: «Prima di entrare nell’inverno della vita,/ nella caverna del niente/ rovesciare quella parte della vita/ lo schematismo dei giorni/ nonostante le previsioni dei gaglioffi/. Egli credeva a ciò che diceva». È il momento in cui, ignorando il mercato editoriale, Roversi accede paradossalmente al senso comune dei lettori e dei militanti grazie ad un nuova sperimentazione, i testi scritti per Lucio Dalla (tre album dal ’71 al ‘76, Il giorno aveva cinque teste, Anidride solforosa, Automobili) in cui senza raffreddare la temperie poetica affida la scrittura alla forma-canzone (e basterebbe ricordare Chiedi chi erano i Beatles, il cameo donato agli Stadio di Gaetano Curreri, dove sul serio pulsa lo spirito del tempo). La scrittura di Roversi, sempre in equilibrio fra moto centripeto e centrifugo, sa restituire con plastica evidenza quella che fra gli anni Sessanta e Settanta venne detta età dell’antagonismo, la cui traccia è evidente sia nelle canzoni e nel romanzo corale I diecimila cavalli (del ’76, troppo poco noto, che ha protagonisti i giovani del Movimento) e alcuni testi, ora nell’ultima sezione della antologia, che evidenziano le «reciproche implicazioni esistenti tra la diffusione militante e autogestita delle opere e la materialità dei testi» stessi, come scrive Fabio Moliterni, lo studioso cui si deve il maggior contributo complessivo, Roberto Roversi. Un’idea di letteratura (Edizioni dal Sud 2003). Per esempio, è vibrante di lucidità e di collera politica Il Libro Paradiso che uscì su «Il cerchio di gesso» dopo i moti del marzo ’77 e l’uccisione dello studente Francesco Lorusso per mano della polizia: «Se si tace, il silenzio è la morte./ E nella morte resta solo la voce del vento».

Disillusione, amarezza, malinconia corrispondono ad un ultimo passaggio d’epoca, repentino e del tutto imprevisto, che prima induce un senso di acclimatazione (sono i tempi del riflusso, i prodromi di una globalizzazione che promette benessere a oltranza) ma poi di colpo svela i tratti di un universo infero le cui chances si riducono al capitalismo darwiniano, alla violenza scatenata, alla guerra. Roversi non deflette e anzi mostra una ulteriore radicalità tanto nella percezione dello stato di cose presenti quanto nella espressione poetica dove coagulano, una volta per sempre, l’afflato epico (la ricerca di un «noi», di compagni affratellati dallo spirito di verità) e la lirica di sentimenti primari quali l’umana solidarietà, la tenerezza, l’amicizia.

TALE È IL CONTESTO del poema la cui stesura occupa il trentennio terminale, L’Italia sepolta sotto la neve (2010), straordinaria polifonia che può ricordare i Cantos di Pound o, di nuovo, la parola ferita di Tommaso Campanella: si tratta di un’opera che l’autore decide di stampare in una piccola tipografia di Pieve di Cento in pochissime copie da consegnare a mano, come fosse il suo estremo pegno etico.
Un allievo, uno dei poeti di oggi, Nicola Muschitiello, nel Tombeau per Roberto Roversi (Pendragon 2014) ha scritto: «Non ci si rassegna alla cenere. Si accende un altro fuoco. Se fosse possibile, si accenderebbe il fuoco con la medesima cenere. Ma si vorrebbe il primo fuoco. Ricordo la favilla sulla brace Restava poi tutta cenere, che si ammonticchiava. Sotto non c’era il fuoco. Solo il ricordo del fuoco. È lì che bisogna nasconderlo, quel ricordo. È lì che deve rimanere». Ed è lì che noi possiamo leggere la poesia di Roberto Roversi.

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SCHEDA bibliografica

Si deve alle edizioni Pendragon di Bologna sia il sito www.robertoroversi.it (ricchissimo di testi, materiali, testimonianze, documenti iconografici) sia l’organica riproposta delle opere del poeta, quali la sua tesi di laurea «Le origini dell’irrazionalismo di Nietzsche» (a cura di M. A. Bazzocchi, 2013), il romanzo «Caccia all’uomo» (2011), le pièces teatrali «Unterdenlinden» (2002) e «La macchia d’inchiostro» (2006, entrambe a cura di A. Picchi), l’inedito «San Francesco» (2017), il libello «Libri e contro il tarlo inimico» (2012) unitamente a due importanti carteggi, con Leonardo Sciascia, «Dalla Noce alla Palmaverde. Lettere di utopisti 1953-1972» (a cura di A. Motta, 2015) e con Vittorio Sereni, «Vincendo i venti nemici. Lettere 1959-1982» (a cura di F. Moliterni, 2020). Ancora disponibile da Luca Sossella il volume «Tre poesie e alcune prose» (2008) a cura di M. Giovenale.