Istigazione al suicido. E’ l’ipotesi di reato alla quale sta lavorando il pubblico ministero di Roma Pier Filippo Laviani che indaga sulla morte di Roberto, il 14enne che si è ucciso gettandosi dal tetto del palazzo in cui viveva con la famiglia. Un gesto che il giovane ha spiegato in una lettera lasciata sul suo computer legandolo alla sua omosessualità. Per ora non ci sono indagati, ma dodici amici del ragazzo sono stati convocati in procura per essere ascoltati nei prossimi giorni. Si tratta di dieci ragazzine e di due maschi, che Roberto nella sua lettera aveva chiesto che venissero messi a conoscenza di quanto aveva scritto. Ora gli inquirenti vogliono sapere di eventuali episodi di bullismo di cui il giovane potrebbe essere rimasto vittima anche se appaiono improbabili almeno all’interno della sua scuola. Né Roberto né i suoi amici , ma neanche i genitori del giovane ascoltati nei giorni scorsi in procura, hanno mai fatto riferimento a episodi del genere. Se bullismo c’è stato, dunque, potrebbe essere avvenuto al di fuori delle mura scolastiche, magari mentre faceva ritorno a casa. Ed è proprio questa la possibilità di cui ha parlato ieri, in un’intervista a un giornale, un’amica di Roberto. Secondo la ragazza, compagna di classe ma soprattutto amica del giovane, Roberto sarebbe finito nel mirino di alcune persone che lo avrebbero preso in giro mentre camminava per strada. Persone che Roberto incontrava ogni giorno mentre si recava a casa della nonna a San Basilio e che adesso gli inquirenti vogliono individuare e interrogare. Al magistrato il padre di Roberto, un ingegnere rappresentante sindacale delle Rdb dei Monopoli di Stato, ha raccontato anche della conversazione avuta con il figlio qualche giorno prima del suicidio. Poche frasi nelle quali il ragazzo aveva parlato genericamente di omosessualità senza però fare alcun riferimento personale. Accenni, forse l’inizio di una confidenza che però il padre non ha saputo cogliere e che Roberto ricorda nella lettera lasciata sul suo computer: «Quel giorno la nostra conversazione si è interrotta. Ma ora mi resta il dubbio di sapere che cosa avrebbe detto papà se avesse saputo tutta la verità», ha scritto. Stasera Roberto verrà ricordato al Gay Village di Roma. «Quattordici candele ricorderanno l’ennesima vittima per cui ancora non v’è giustizia», è spiegato in una nota. «Quattordici erano gli anni di vita trascorsi per la maggior parte a nascondersi. Quattordici erano gli anni che aveva in quel momento infame in cui ‘il ragazzino’ ha deciso di farla finita perché non poteva più sopportare, perché forse ha pensato che mai sarebbe stato accettato. Quanto di sbagliato ci sia già alla base di questo concetto, lo si comprende solo stando dall’altra parte. Quante altre volte dovremo ripetere che l’amore non ha sesso, né definizione, che l’amore è una sensazione? Quanta retorica per un concetto che nulla ha di innaturale». «Il Gay Village non vuole dimenticare. Non vuole scordare le battaglie, i soprusi, le censure subite, le perdite umane che continuano a crescere – spiega il comunicato – Nasce ‘No Homophobia’, l’ennesima battaglia che il Gay Village intraprende, con la volontà di provare a dire basta a questa piaga sociale, attraverso un logo che sia riconoscibile e che dica forte ed una volta per tutte ‘No all’omofobia’». Ma la vicenda di Roberto porta anche i cattolici a interrogarsi su quanto accaduto. In una lettera aperta a papa Francesco l’associazione di base «Noi siamo Chiesa» chiede al pontefice di «dare un segno forte, evangelico, di amore e di accoglienza» verso le persone gay, e a «tutta la Chiesa di Roma di chiedere perdono nelle prossime celebrazioni comunitarie domenicale per questa morte, per il silenzio e la solitudine di Roberto, perché tutti siamo responsabili di questa morte».