Roberto Finelli si autodefinisce marxista dionisiaco (e non marxista e basta, come i marxisti del tempo che fu). E c’è di più: il marxismo del Marx giovane non lo convince, del Marx maturo sì.
Al Marx del Capitale intreccia l’etica incarnata di Spinoza e il giovane Freud della Interpretazione delle afasie, e viene fuori un paniere filosofico ambizioso, consistente, originale.
Dal suo recente libro «Per un nuovo materialismo. Presupposti antropologici ed etico-politici»(Rosemberg & Sellier 2018), ho ricavato molto, come sempre accade spremendo i ricchi e i limoni. Il maggiore esito suo? A me pare questo: tentare la fondazione di un materialismo che non prenda le mosse dalla ragione ma dai sentimenti, non dalla mente ma dal corpo. Un corpo dionisiaco. (Dioniso dio della liberazione dei sensi.)
Giorni fa ne abbiamo discusso francamente ed io, dopo una aperta apologia, gli ho mosso due critiche. L’ho fatto perché, sebbene il libro si presenti come l’apice delle ricerche filosofiche di una vita, penso che lo continuerà e ripenserà, criticamente e autocriticamente. E forse addirittura smetterà di scrivere ‘in latino’, per i colleghi e gli intellettuali per professione, e scriverà ‘in volgare illustre’, per i giovani e le donne e gli intellettuali per passione. Se così sarà, ecco un titolo chiaro e tondo: «Ogni nostra cognizione prencipia dai sentimenti» (Leonardo da Vinci).
Critica seconda. Il libro di Roberto non risolve la contraddizione fondamentale che incrina tutto il pensiero di Karl. Lo dico con Eric Hobsbawm (Convegno gramsciano del 1977): «il campo della politica era analiticamente secondario per lui» mentre «nella prassi di Marx la politica era assolutamente primaria».
Ma torniamo all’apologia, leggendo uno dei tanti brani illuminanti: «L’amore di sé quale presupposto e condizione trascendentale dell’amore dell’altro: il riconoscimento di sé quale priorità e condizione del riconoscimento dell’altro. Questo è il principio costituzionale, dal lato del diritto alla soggettività e alla persona, che deve caratterizzare il nuovo paradigma. E che mostra, in chiave critica, la dimensione patologica e violenta dell’amore secondo il cristianesimo, coniugato nella versione del sacrificio e della rinuncia a sé per amore del prossimo. Come mostra, da un altro lato, l’arretratezza e l’arcaismo dell’antropologia del cosiddetto comunismo reale…»

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