È morto due giorni fa a Roma, a 87 anni, Riz Ortolani. È stato tra i maggiori autori di colonne sonore del nostro paese e tra coloro che negli anni Sessanta hanno contribuito alla formalizzazione dell’easy listening, categoria musicale omnicomprensiva che si impose proprio in quel decennio. Ortolani ha collaborato con i maggiori registi italiani, da Vittorio De Sica a Dino Risi, da Franco Zeffirelli e Damiano Damiani a Pupi Avati (il suo regista di riferimento). Citando a caso, tra le centinaia di colonne sonore, vengono in mente quelle per Il sorpasso, Sette volte donna, Fratello Sole, Sorella Luna, Il merlo maschio, Non si sevizia un paperino, Girolimoni il mostro di Roma, I giorni dell’ira (il tema è utilizzato da Tarantino in Django Unchained; lo stesso regista ricorrerà a lui per Kill Bill vol. 1 e Kill Bill vol. 2), Impiegati; importanti anche le sonorizzazioni tv per David Copperfield, La freccia nera, E le stelle stanno a guardare o La piovra. E poi la colonna sonora di Mondo Cane, il film-documentario di Gualtiero Jacopetti, fondamentale per capire il ruolo di Ortolani in ambito pop.

All’interno spiccava More, tema della pellicola, scritto nel ’63 dal compositore (con Nino Oliviero) e intitolato inizialmente Ti guarderò nel cuore; nel 1964 il brano frutterà un Grammy come miglior pezzo strumentale. Proprio nella notte degli Oscar, verrà cantato da Katyna Ranieri, moglie di Ortolani, unica italiana ad essersi esibita in quella sede. Il testo era stato affidato a Marcello Ciorciolini, alla versione inglese (interpretata da Sinatra, Julie London, Bobby Darin e molti altri) ci penserà, invece, Normal Newell. Incredibile come quell’ode all’amore eterno fosse stata composta per un documentario così impietoso e cruento. In particolare More accompagnava sullo schermo le gesta di un gruppo di ubriachi di Amburgo colti da conati di vomito. More e Mondo Cane inaugureranno l’interminabile filone «mondo» imponendo il termine anche in inglese e legandolo a pellicole in cui prevaleva una visione cinematografica violenta, assurda e impietosa del mondo ottenuta attraverso una mescolanza di documentazioni filmate vere o fittizie.

Da qui il termine spiccherà il volo andando a connotare in ambito anglo-americano tutto ciò che è ritenuto estremo, eccessivo e sessualmente deviante. Ma More non si ferma qui. Insieme ai pezzi del brasiliano Walter Wanderley, di italiani come Domenico Modugno, di tedeschi quali Horst Jankowski e di molto pop francese anni ’60 (Brigitte Bardot, France Gall, Serge Gainsbourg, Jacques Dutronc), diverrà un pilastro del cosiddetto jet set pop, ovverosia suoni importati negli Stati uniti dall’Europa anche e soprattutto grazie alla introduzione dei nuovi motori a reazione (jet) e alla progressiva affermazione del turismo di massa dagli Usa verso l’Europa e viceversa (all’inizio solo per passeggeri abbienti, da qui il termine jet set). More sarà tra i pezzi che più solleciteranno una europizzazione dei suoni statunitensi che si rifletterà anche nei titoli dei dischi (abbonderanno termini come «discotheque», «au go-go», «mondo» ecc.). Proprio perché incapaci di trovare definizioni adeguate riviste come Billboard cominceranno al tempo a classificare Ortolani e affini come «easy listening».

L’artista era nato a Pesaro il 25 marzo 1926. Impara a suonare il violino, frequenta il conservatorio Gioacchino Rossini di Pesaro, studia composizione e flauto. A ventidue anni arriva a Roma e – grande appassionato di jazz – passa dal pianoforte delle orchestrine delle sale da ballo agli arrangiamenti delle orchestre Rai. Fra la metà degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta si trasferisce negli Usa dove si esibisce in club importanti e dove scopre Hollywood (curerà le colonne sonore di tanti film tra cui Anzio, Maya, Hunting Party ecc.). Non lascia però l’Italia definitivamente e negli anni Sessanta diventa uno degli artisti «di genere» più importanti. In particolare è al cuore dello spy film all’italiana. Tra le perle, la colonna sonora di Tiffany Memorandum (1966), un film di Sergio Grieco in cui Ken Clark interpretava la parte di un giornalista al centro di un complotto internazionale. Il suono guardava a maestri quali John Barry ma teneva conto anche e soprattutto dell’ondata beat che stava mutando suoni e costumi del nostro paese. Non a caso il tema portante della pellicola si intitolava Beat fuga shake e la stessa Tiffany Sequence M8 ricorreva a un beat martellante caratterizzato dall’impiego reiterato della tromba.

Tra i suoi film «di genere» vanno menzionati «cannibaleschi» come Cannibal Holocaust (1979) o polizieschi quali Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica (1971). Nota anche Una sull’altra (1968), colonna sonora dell’omonimo thriller di Lucio Fulci, in cui Jean Morell si innamorava di una stripper di San Francisco interpretata da Marisa Mell. Come da copione ambienti sordidi e notturni venivano evocati nel film ricorrendo al più classico jazz urbano, debitamente smussato con rutilanti rimandi a John Barry e con ironici intermezzi in cui il suono sembrava arrestarsi all’improvviso per poi ripartire ancora più vorticoso. Sempre il jazz era il suono di riferimento di Le ore nude, il film drammatico del ’64 di Marco Vicario con Rosanna Podestà e Philippe Leroy. In quella colonna sonora Ortolani faceva uso di una sequela di rumori di sottofondo e di un’effettistica caratterizzata anche dai battiti amplificati del cuore.

Nel 1966 ricorrerà nuovamente agli effetti sonori musicando The Spy with a Cold Nose (La spia dal naso freddo), parodia britannica dei «Bond film» diretta da Daniel Petrie. Nella pellicola il raffreddore e il tipico «risucchio» del naso gocciolante divenivano efficacissimi strumenti musicali. E questa è un’altra grande intuizione dell’artista, l’idea di trasformare in partitura – sullo stile di Henry Mancini – la «source music», la musica incidentale (non prodotta da strumenti ma proveniente da fonti ambientali). Di lui resta nell’aria la memoria di orchestrazioni infinite, capaci – come per tanti altri maestri nostrani – di rinnovarsi e reinventarsi ad ogni pellicola, suoni cupi, fulgidi, esili e rutilanti, suoni che l’orchestra – che porta il suo nome – da sempre ha continuato a diffondere.