È con ogni probabilità figlia della rinnovata linea americana del pugno di ferro con l’Iran, la prima visita di un ministro degli esteri saudita a Baghdad dal 1990, anno in cui quando Saddam Hussein occupò il Kuwait al culmine dello scontro con i sei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo decisi ad emarginarlo. Forte dell’appoggio dell’Amministrazione Trump, re Salman il 25 febbraio ha inviato a Baghdad, tra la sorpresa di tutti nella regione, il capo della diplomazia saudita Adel al Jubeir. Nella capitale irachena al Jubeir ha incontrato il premier Haider al Abadi e il suo omologo iracheno Ibrahim al Jaafari con i quali ha discusso delle relazioni tra i due Paesi, di rapporti economici e del quadro regionale, lasciandosi andare a dichiarazioni molto concilianti. «Il regno dell’Arabia Saudita spera di costruire ottimi rapporti con il Paese fratello – ha affermato al Jubeir – Ci sono molti interessi condivisi come combattere l’estremismo e il terrorismo. Il regno saudita sostiene l’unità e la stabilità dell’Iraq».

Nella regione sono state date letture diverse delle finalità di questa visita a sorpresa. Il viaggio del ministro degli esteri saudita, sostiene qualcuno, si inserisce nel contesto di una politica di riavvicinamento con l’Iran, che controlla l’Iraq. Altri, al contrario, parlano di un tentativo saudita di entrare nel giardino dell’avversario iraniano e di crearvi scompiglio mentre l’Iraq, impegnato a strappare il controllo di Mosul all’Isis, resta instabile e dipendente dagli appoggi regionali e internazionali.

La prima tesi poggia su una serie di sviluppi recenti: i timidi segnali concilianti che Iran e Arabia saudita si sono scambiati in qualche occasione; lo sforzo di mediazione del Kuwait tra le petromonarchie e l’Iran; l’intesa tra Arabia Saudita e Iran sulla riduzione della produzione di petrolio nell’ambito dell’Opec; le recenti dichiarazioni del presidente Hassan Rowhani sul proposito dell’Iran di dialogare con gli avversari, inclusi gli Stati Uniti, pur mentenendo i suoi principi e la sua linea. L’altra tesi guarda nella direzione opposta. «L’ostilità saudita all’Iran ha avuto un impulso ulteriore dopo l’ingresso nella Casa Bianca di Trump», spiega Uraib ar Rintawi sul quotidiano giordano al Dostour «e devono essere tenute presenti le iniziative recenti della Turchia nel Golfo, volte a tagliare le unghie dell’Iran e limitare la sua influenza. Senza dimenticare la possibile formazione di una Nato araba (Egitto, Emirati arabi uniti, Arabia saudita e Giordania, ndr) con il compito di tenere sotto controllo Tehran». Secondo Ammar al Ameri di Sotaliraq.com, gli aiuti finanziari e il sostegno alla ricostruzione promessi da Adel al Jubeir sono volti a garantire, con il via libera del governo Abadi, che l’Arabia saudita resti il principale sponsor dei sunniti in Iraq e che le regioni sunnite possano godere di una forte autonomia politica e amministrativa sganciata dal «governo sciita» e dall’Iran.

D’altronde non ci sono motivi per credere a una intenzione saudita di migliorare le relazioni con Tehran visto che Riyadh ha rispedito al mittente le pressioni di Kuwait e Oman di intavolare un dialogo regionale e contenere le ambizioni di tutti gli attori in campo. Appena qualche giorno fa Abdul Rahman al Rashed, ex direttore della tv saudita al Arabiya e giornalista da sempre molto vicino alla monarchia Saud, dalle pagine di al Sharq al Awsat esortava gli arabi sunniti a non lasciarsi sfuggire l’occasione della presidenza Trump per dare vita a una coalizione militare per contrastare «l’alleanza stretta dall’Iran con Siria e Iraq prima e poi anche la Russia». Alleanza che al Rashed descrive come il «Nuovo Patto di Varsavia».