Rivolta nel governo, Netanyahu cancella l’accordo con l’Unhcr
Israele Il premier ha fatto marcia indietro di fronte alle proteste nel governo e tra gli abitanti delle periferie di Tel Aviv dove si concentrano i richiedenti asilo
Israele Il premier ha fatto marcia indietro di fronte alle proteste nel governo e tra gli abitanti delle periferie di Tel Aviv dove si concentrano i richiedenti asilo
Eritrei e sudanesi si sono presentati in catene, a petto nudo, senza scarpe. Come gli schiavi. Però determinati a spezzarle quelle catene e a non rassegnarsi alla deportazione “volontaria” o al carcere a tempo indeterminato, le uniche possibilità che il governo israeliano aveva offerto loro ad inizio anno. Una “offerta” che non è destinata a migliorare dopo la clamorosa retromarcia fatta dal premier Netanyahu che lunedì ha annunciato un accordo con l’Unhcr, per il ricollocamento di 16 mila dei circa 38mila richiedenti asilo africani oggi in Israele, per poi sospenderlo appena qualche ora dopo. Assieme ai dimostranti eritrei e sudanesi ieri nelle strade di Tel Aviv c’erano decine di attivisti che mostravano cartelli con la scritta ”Le vite umane non sono in gioco”. «Netanyahu non può giocare con gli esseri umani» ha ripetuto ai giornalisti Daniela Eliashar, che da mesi partecipa alle proteste contro il piano di espulsioni del governo. «Ieri (lunedì) eravamo in lacrime per la gioia e ora siamo in lacrime per la rabbia», ha commentato un’altra manifestante Veronika Cohen. La giornalista Sima Kadmon di Yediot Ahronot ha calcolato in 6 ore e 45 minuti la durata dell’accordo con l’Unhcr annunciato da Netanyahu. «Era una decisione importante e coraggiosa ma è calpestata dagli stivali dei contrasti nella destra», ha aggiunto.
Poche frasi che descrivono bene i motivi del ripensamento di Netanyahu. A far cambiare idea al primo ministro non sono state certo le reazioni di Germania e Italia che, chiamate in causa da Netanyahu, hanno detto di non essere a conoscenza di accordi con l’Unhcr per l’accoglimento dei richiedenti asilo africani ora in Israele. Netanyahu ha dovuto fare i conti una vera e propria insurrezione nella coalizione di estrema destra che guida del 2015. A fare la voce grossa sono stati diversi esponenti del suo partito, il Likud, e soprattutto i ministri Naftali Bennett e Ayelet Shaked del partito nazionalista religioso Casa ebraica, ago della bilancia della maggioranza. Contemporaneamente è scattata la protesta degli abitanti dei degradati quartieri meridionali di Tel Aviv che si sono sentiti “traditi” da Netanyahu. Per anni la destra li ha aizzati contro i richiedenti asilo nella più classica delle guerre tra poveri e quando il governo si era deciso a cacciare via gli africani il premier ha annunciato un accordo con le tanto odiate Nazioni Unite che prevedeva la regolarizzazione di 16mila “infiltrati”, “alieni”, come li chiamano in Israele. Anche in questa occasione non ha mancato di far sentire la sua voce Sheffi Paz del cosiddetto “Fronte di liberazione del sud di Tel Aviv” creato per cacciare via i richiedenti asilo. Paz era una pacifista negli anni Ottanta e Novanta e un’attivista dei diritti degli omosessuali, ora passa gran parte del suo tempo a urlare, davanti a telecamere e registratori, che Israele «deve liberarsi di un pericolo (gli africani,ndr) che mette a rischio la sua esistenza e il suo carattere ebraico».
Questo l’ha sempre pensato e proclamato per anni anche Netanyahu. E infatti il premier, dopo il suo incontro ieri con gli abitanti della periferia di Tel Aviv, ha subito recuperato il tono agguerrito che lunedì aveva messo da parte per qualche ora. «Ho ascoltato con attenzione i molti commenti, ho riesaminato i vantaggi e le mancanze e ho deciso di annullare l’accordo», ha detto. Più di tutto Netanyahu ha annunciato perentorio che «Malgrado le limitazioni giuridiche e le crescenti difficoltà internazionali continueremo ad agire con determinazione per ricorrere a tutte le possibilità che abbiamo a disposizione per far uscire gli infiltrati dal Paese». Parole che non lasciano alcun dubbio sulla politica del suo governo nei confronti degli “infiltrati” a maggior ragione dopo la figuraccia che ha fatto. Inutile l’appello dell’Onu a «riconsiderare» l’annullamento dell’intesa sui migranti. «Crediamo nella necessità di un accordo vantaggioso per tutti che possa giovare a Israele, alla comunità internazionale e alle persone che hanno bisogno di asilo» ha provato invano a spiegare William Spindler, il portavoce dell’Unhcr.
Netanyahu, attaccato anche dall’opposizione laburista per l’indecisione mostrata, ha rassicurato la sua opinione pubblica che «continuerà a cercare altre soluzioni» in riferimento a un “Paese terzo” pronto ad accogliere i richiedenti asilo che lasceranno “volontariamente” Israele. Al momento questo Paese non c’è. Il Ruanda e l’Uguanda hanno fatto un passo indietro e proprio questo, due giorni fa, aveva favorito l’intesa tra Israele e l’Unhcr e aperto la strada al compromesso poi rinnegato da Netanyahu.
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