Venerdì sera, vista la mala parata dopo aver letto la lista dei ministri (zero donne del Pd), Nicola Zingaretti aveva cercato subito di disinnescare la bomba che stava per scoppiare dentro il partito: «In questi mesi abbiamo scommesso molto sulla valorizzazione della forza delle donne, ma nella selezione della componente Pd nel governo questo impegno non ha trovato rappresentanza», aveva scritto sui social.

Con una solenne promessa: «Farò di tutto perché questo si realizzi nel completamento della squadra». Tradotto: i ministri li ha scelti Draghi, io non ho colpe, correggeremo coi sottosegretari.

NON È BASTATO. E ieri la polemica è divampata, con l’ex ministra Marianna Madia che ha definito «machista» la gestione della crisi da parte del segretario. E ancora, la portavoce della conferenza delle donne dem Cecilia D’Elia ha parlato di una «ferita». «Al restringersi delle postazioni, le donne sono venute meno», la cruda constatazione. «Nonostante in tutte le occasioni, riunioni degli organismi, prese di posizioni pubbliche, il Pd abbia parlato di equilibrio di genere da garantire».

In effetti Zingaretti, nella riunione della direzione di giovedì 11, tra le (poche) richieste al premier aveva inserito proprio «l’equilibrio di genere». «Le correnti schiacciano il protagonismo femminile», denuncia Laura Boldrini. E avverte: «Non basterà qualche posto da sottosegretaria. Non può bastare». Anche alcuni uomini si schierano.

Il sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Decaro, dà un consiglio amaro: «Forse le donne del Pd dovranno organizzarsi in una corrente se vorranno contare qualcosa nel partito». Matteo Orfini, della minoranza interna, attacca il quartier generale: «Il rispetto della parità di genere è un valore fondativo del Pd. Che venga negato in modo così brutale non è un problema delle donne del Pd. E’ un grande problema del Pd».

«IL PD È UN PARTITO per donne?», la domanda che butta nello stagno Debora Serracchiani. «Non ci sono più scuse nemmeno per le donne dem, che hanno da imparare una dura lezione: nessuno spazio ci sarà dato per gentile concessione». «Le donne si sono forse illuse che funzionasse essere “in quota” a capicorrente», prosegue. «Non abbiamo ancora preso sul serio la sfida per la leadership».

«Stavolta la misura è colma», le fa eco la presidente del Pd Valentina Cuppi (presente a tutte le consultazioni di questa crisi come unica donna delle delegazioni dem). Per domani è stata fissata una riunione della conferenza donne dem. «Ci incontreremo per decidere come agire. Non lasceremo passare quanto accaduto», spiega Cuppi. «La squadra ovviamente è stata scelta dal premier. Però noi ci dobbiamo guardare dentro: se Draghi ha scelto tre uomini vuol dire che nel nostro partito il potere è degli uomini».

Tensioni, di natura diversa, anche in casa Leu. I bersaniani di Articolo 1 confermano il loro sì a Draghi, corroborato dalla conferma del segretario Speranza come ministro della Salute.
SINISTRA ITALIANA RIUNISCE oggi la sua assemblea nazionale per decidere «insieme». Nicola Fratoianni, dentro la pattuglia parlamentare di Leu, è il più critico verso l’operazione Draghi con dentro Lega e Forza Italia. «Un governo politico in cui sia coinvolta la Lega è qualcosa di inconciliabile con la presenza di Leu», ha spiegato giorni fa, ed è probabile che la sua relazione (che poi sarà votata) sia su questa linea. Diversa da quella della capogruppo al Senato Loredana De Petris e del deputato Erasmo Palazzotto.

Probabile quindi che il gruppo di Leu, al momento della fiducia, si spaccherà. Ma anche i parlamentari di Si potrebbero andare divisi. Da capire se sarà una separazione temporanea e consensuale. O una nuova ferita a sinistra.