A scorrere le immagini diffuse dalle maggiori emittenti televisive internazionali è davvero difficile credere che quanti sono reclusi nel centro di detenzione dell’isola Christmas possano rappresentare una qualche minaccia per la società australiana.

Eppure in questa lingua di terra sperduta in mezzo all’Oceano Pacifico e distante più di 1600 chilometri dalle coste dell’Australia, ma poche centinaia da quelle dell’isola indonesiana di Java, le autorità di Camberra hanno costruito una delle molte prigioni nelle quali sono costretti migliaia di richiedenti asilo e di migranti considerati in posizione irregolare. Donne, uomini e anche molti bambini tenuti lontano dal territorio australiano e reclusi in autentiche fortezze disseminate in tutta quest’area del Pacifico, altri centri di detenzione sorgono sull’isolotto di Nauru o a Manus Island in Papua-Nuova Guinea, in uno stato che Amnesty International ha più volte definito lesivo della dignità umana e esposti al rischio di subire violenze e abusi sessuali.

E proprio le dure condizioni di vita che regnano in questi luoghi sarebbero state all’origine della rivolta scoppiata ieri nel centro per richiedenti asilo dell’isola Christmas: a far precipitare una situazione già tesa, sarebbe stato in particolare il tentativo di fuga, avvenuto nel weekend, di un giovane kurdo iraniano, identificato come Fazel Chegeni, poi trovato morto ai piedi di una parete di roccia. Poco prima di tentare l’evasione, l’uomo aveva spiegato ai suoi compagni di cella di non sopportare più quella condizione e di voler passare qualche ora in libertà.

Confermando a sera che la rivolta era ancora in corso, il portavoce del ministero dell’immigrazione australiano ha spiegato che le guardie hanno scelto di ritirarsi dagli edifici per ragioni di sicurezza; alcuni locali sono stati poi dati alle fiamme da parte di gruppi di detenuti. «Come molti altri sull’isola, Fazel soffriva delle conseguenze di una lunga detenzione arbitraria», ha spiegato al quotidiano Sidney Morning Herald, Ian Rintoul, esponente di uno dei maggiori gruppi di assistenza ai rifugiati che ha aggiunto come questa rivolta rappresenti «un’esplosione di rabbia di fronte alle morti assurde e alla brutalità che i detenuti subiscono ogni giorno».

Negli ultimi anni, l’Australia ha messo in atto una politica rigidissima in materia di immigrazione e di asilo che ha suscitato le dure critiche della organizzazioni umanitarie che hanno sottolineato come in molti casi le autorità operino in aperta violazione del diritto internazionale. Le imbarcazioni che cercano di avvicinarsi alle coste senza permesso sono sistematicamente respinte dalla marina australiana e quanti riescono in ogni caso a raggiungere il paese sono trasferiti nelle prigioni sparse in vari punti del Pacifico e questo anche nel caso si tratti di famiglie che hanno regolarmente presentato domanda come rifugiati politici.

Il dibattito pubblico è del resto da tempo dominato dai toni allarmisti sull’invasione dei migranti e sulla minaccia del terrorismo islamico. In un paese di 24 milioni di abitanti, l’incrementro della popolazione di fede musulmana, stimata in circa 500mila unità è al centro di continue polemiche. E l’egemonia elettorale del Partito liberale, tradizionalmente su posizioni ultraconservatrici, che a settembre ha sostituito il premier Tony Abbott con Malcolm Turnbull, certo non aiuta a migliorare il clima.

Così, ogni fatto di cronaca contribuisce ad alimentare paure e sospetti. A Sideny, dopo la presa d’ostaggi da parte di un uomo che diceva di appartenere all’Isis, avvenuta in un caffè del centro cittadino alla fine dello scorso anno e conclusasi con due vittime, all’inizio di ottobre un ragazzo di 15 anni proveniente dal Kurdistan iracheno ha esploso alcuni colpi di pistola contro un commissariato di periferia ferendo a morte un impiegato prima di essere a sua volta ucciso dagli agenti. Due settimane più tardi, è stato il leader islamofobo olandese Geert Wilders a fare da padrino a Perth al lancio dell’Australian Liberty Alliance, un movimento che si batte per «fermare l’islamizzazione del paese». Questo, mentre negli ultimi tre mesi manifestazioni dell’estrema destra e delle reti di solidarietà ai migranti hanno avuto luogo in varie parti del paese.