Il 41 per cento del 2014 è inarrivabile, qualcosa più della metà però al Pd è indispensabile. E non solo, come vedremo, per ragioni interne. Per questo il nuovo segretario Nicola Zingaretti punta ad aprire porte e finestre delle liste in vista del voto del 26 maggio. Nel ’14, anno primo dell’era renziana, il Pd aveva eletto 31 eurodeputati. Ora ne restano 29 secondo i zingarettiani, e invece solo 26 secondo i renziani. I primi mettono nel conto i tre che in Italia sono usciti con la scissione di Art.1 (Paolucci, Panzeri e Zanonato), che però a Bruxelles sono rimasti pienamente nel gruppo S&D e con responsabilità anche cruciali. I secondi invece li escludono dal computo, al pari degli altri due, Sergio Cofferati e Elly Schlein, che pure essendo rimasti da indipendenti nel gruppo S&D in Italia hanno aderito rispettivamente a Sinistra italiana e Possibile. Ma torniamo a zingarettiani e renziani. I primi sono per una lista «unitaria dei socialisti», come ieri ha spiegato l’ex segretario Maurizio Martina, già solidamente al fianco del successore. I secondi sono per l’analisi del sangue degli europarlamentari: al minimo tasso di dalemismo o bersanismo sei fuori.

Ma questo secondo ragionamento non piace a tutto il gruppo S&D. Perché rischia di portare acqua al mulino degli avversari: non perdere (troppi) seggi a Bruxelles è cruciale. Per tutti, non solo per gli italiani.

In ballo c’è innanzitutto la possibilità concreta di eleggere un presidente di commissione non sovranista. Rottamate le larghe intese Ppe-Pse, ogni gruppo di centro e di sinistra – dall’Alde al Gue – a questo giro con ogni probabilità dovrà fare la sua parte. La sfida con il proporzionale non consente di dirlo troppo apertamente, ma a Bruxelles, alla vigilia dello scontro epocale con le forze nazionaliste e di destra, la possibilità del famoso fronte «da Macron a Tsipras» viene per lo più considerata una speranza , prima ancora che una possibilità. Non a caso, ma a sorpresa, nelle scorse settimane è stata rilanciato dallo stesso presidente greco Tsipras. In questo fronte, per i socialisti non perdere troppo peso è fondamentale. Oltre al presidente della commissione, ci sono le 20 commissioni ordinarie da eleggere. L’articolo 199 del Regolamento del Parlamento europeo dice che la loro composizione «riflette per quanto possibile la composizione del parlamento». Con questo metodo, proporzionale «per quanto possibile» si eleggono tante altre cariche cruciali: ci sono, per esempio, le 44 ambitissime delegazioni per i rapporti con i paesi terzi. E con il metodo D’Hont un eletto può fare la differenza.

La previsione, per il Pd, è di passare da 31 a 15-17 eletti. Provare ad allargare al massimo le liste dunque, è un imperativo. Per questo la battaglia di chi, fra i dem italiani, cerca di recintare le liste, è destinato al fallimento. Potremmo dire: lo chiede l’Europa. O per lo meno lo chiede il gruppo dei socialisti e socialdemocratici e democratici europei.