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Ritrovare la chiave, all’appello manca un partito democratico di sinistra

Partito democratico, le primarie 2019 A seconda dei punti di vista si può dire che in Italia non c’è un partito di sinistra, o piuttosto che ce ne sono anche troppi. Di sicuro manca un […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 1 marzo 2019

A seconda dei punti di vista si può dire che in Italia non c’è un partito di sinistra, o piuttosto che ce ne sono anche troppi. Di sicuro manca un partito democratico di sinistra dal momento che questo Pd per come è andato avanti e per le politiche che ha messo in campo ha via via smarrito la via maestra, fino a ridurre la sua base sociale ai minimi termini, fino a scegliere di tagliare i ponti con la storia del movimento operaio e con la stessa parola «sinistra».

Secondo il filosofo e dirigente politico comunista, Mario Tronti, la colpa e il debito del ceto politico post-comunista è «nel non aver assunto su di sé l’eredità storica del movimento operaio e popolare» e dunque di non aver compreso che «il passato è più forte del futuro nel combattere il presente». Ma dire Partito democratico di sinistra, Pds, significa tornare al risultato di quel passaggio del 1989 e poi del 1991, con la Bolognina e il congresso di Rimini. Oggi sarebbe un necessario punto di partenza mentre allora la parola sinistra andava sacrificata proprio per far nascere il Pd.

Domenica si aprono i gazebo e quella storia è utile richiamarla alla memoria, perché da quel momento la diaspora ha frantumato, indebolito, inaridito il partito fino a dimezzarne il consenso, mentre un’altra forza popolare, il M5Stelle, ne contendeva il campo, e si prendeva parte di quel popolo.

Queste primarie rischiano di essere le Ultimarie, come dice il nostro titolo. La partecipazione è sempre più bassa, la sfida tra i candidati raccoglie e ricalca, in piccolo, l’elettorato che ha votato Pd. Per frenare l’emorragia e per conquistare forze giovani e nuove la prima cosa è mettere in soffitta ogni tentazione di autosufficienza.

Se dopo Renzi sarà Zingaretti il nuovo segretario, l’unica carta in mano al nuovo corso, per recuperare identità e consenso, è mettere al centro «ambientalismo e nuovo modello di sviluppo», come ha promesso lo stesso Zingaretti. Naturalmente tra il dire e il fare ci sono di mezzo i fatti, le scelte, le alleanze.

Su tutti questi fronti il segretario designato deve misurarsi puntando a rischiare di scontentare qualcuno, come non ha fatto in questa campagna per le primarie. Perché, dicono, non voleva dare alibi alla maggioranza del partito che sta con Renzi. Vedremo se si tratta solo di tattica o se il presidente della regione Lazio (che manterrà il doppio incarico) saprà scegliere tra dare al Pd una visione di sinistra o farlo cadere nella trappola delle figurine.

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