Acclamato a Cannes due anni fa, Tesnota arriva oggi nelle sale italiane. È un’ottima notizia e un’occasione da non perdere. Il primo film di Kantemir Balagov è un ritratto di famiglia in un interno. In russo, «Tesnota» vuol dire in effetti spazio ristretto – tema che il regista declina sia nella forma che nel contenuto. Il film è in 4/3, formato ideale per filmare i volti, le espressioni, gli interni, e un tempo standard del cinema fino agli anni cinquanta. Per Balagov si tratta soprattutto di rimettere negli occhi dello spettatore i colori e le forme della televisione russa degli anni novanta.

I FATTI si svolgono nel bel mezzo dell’epoca in cui il paese, appena nato dalle ceneri dell’Unione Sovietica, è diretto da Boris Eltsin. Una parentesi di confusione e di esaltazione, ma anche di libertà, e che molti in Russia ricordano con nostalgia. Ma questa è solo la cornice del quadro. L’azione si svolge in un tempo e in un luogo ancora più «tesnota». Siamo a Naltchik, nella Repubblica della Cabardino-Balcaria. Anzi, siamo nell’officina di un meccanico.

SUL PONTE, c’è una Lada 7. Ilana, la figlia del meccanico, cambia le candele. Poi si avvicina al padre e lo aiuta a riempire il certificato di revisione del mezzo. Il centro del film è lei. E osservando da vicino questa ragazza dai capelli rossi che tutto il resto prende senso. È intorno a lei che il regista costruisce un castello di identità, come in un gioco di matriosche, mostrandola sempre come «interna» a qualcosa. E quindi esterna a qualcos’altro. Con lei capiremo che cosa vuol dire vivere in comunità, in quella parte di Russia. Come si reagisce in una situazione drammatica, come il rapimento di un membro della famiglia. Per una serata, saremo con lei una ragazza ebrea che nel retrobottega di una stazione di servizio si ubriaca in compagnia di un gruppo di maschi di etnia cabarda, commentando le immagini di soldati russi sgozzati da combattenti ceceni.

SI POTREBBE pensare allora che la sua emancipazione consista nel rifiutare una dopo l’altra tutte queste definizioni: di genere, di cultura, di etnia. E, ovviamente, il proprio corpo – Ilana è un po’ un ragazzo mancato, per usare un espressione a sua volta ben troppo «tesnota». Il movimento del film è al tempo stesso molto più complesso e molto più semplice. Non si tratterà soltanto di far uscire Ilana dai muri che la circondano ma piuttosto di entrare dentro l’interrogatorio morale che la sua situazione implica.

LA SOLA caduta di stile è la citazione dell’Idiota, forse inevitabile in una produzione Lenfilm, ma che in un film per altro così libero appare un po’ ingenua. Tolto questo, Bagalov non sbaglia una mossa e mostra una maturità fuori norma. Scolpisce la sua eroina con il suono e l’immagine, illuminandone il volto e il corpo in maniera sempre imprevedibile. È vero che dalla sua parte può contare su un’attrice, Darya Zhovner, capace in ogni inquadratura di far emergere il suo mondo interiore.