«Il paese era svegliato, a notte ancora fonda, da un rumore arcaico, di battiti su strumenti cavi di legno, come campane fessurate: un rumore di foresta primitiva, che entrava nelle viscere come un richiamo infinitamente remoto; e tutti salivano sul monte, uomini e animali, fino alla Cappella alta sulla cima». Così Carlo Levi descriveva il Carnevale di Tricarico, quello delle caratteristiche maschere della vacca e del toro, simboleggianti la transumanza e il ritorno della primavera in un tripudio di campane e campanacci.
Siamo nelle terre del silenzio, in quel mondo sospeso tra magia e realtà, nel cuore del sud deserto e abbandonato, dove le preghiere si confondono con le formule scaramantiche, dove Ernesto De Martino e Diego Carpitella, negli anni ’50, compirono numerose spedizioni per indagare universi etnomusicali in gran parte ignoti. A quindici anni dalla prima edizione, l’etnomusicologo Nicola Scaldaferri e il fotografo Stefano Vaja hanno ripubblicato, Nel paese dei cupa cupa. Suoni e immagini della tradizione lucana, un libro+cd di Squilibri (288 pg, formato quadrato 21×21, euro 35), arricchito da inediti materiali video e da un approfondito dialogo tra i due autori.

FRUTTO di una meticolosa ricerca sul campo, svolta tra il 2000 e il 2004, che è la più vasta ed aggiornata ricostruzione delle musiche di tradizione della regione, con il censimento dei costruttori di strumenti e dei suonatori popolari in attività, l’esame delle testimonianze storiche e iconografiche e la documentazione, sonora e fotografica, di momenti significativi come il Carnevale e la festa di S. Antonio Abate, i Riti arborei, la Settimana Santa, processioni religiose e momenti devozionali, le matinate di Matera, la serenata di nozze a S. Costantino Albanese, il ballo della ‘Uglia a Anzi e il ballo delle cente a Viggiano (la culla dei suonatori ambulanti, in gran parte autodidatti in famiglia). Ancora oggi la Basilicata – caratterizzata da un’arcaicità sorprendente, frutto della cultura agropastorale tenacemente conservata- è ricca di originali rituali sonori, dall’arpa di Viggiano alla chitarra battente, dalla tarantella dei pastori alla cupa cupa (il tamburo a frizione, simile al putipù e alla caccavella), anche se attraversate da profonde mutazioni (dalle processioni devozionali che finiscono allo stadio o il fuggi-fuggi per il corso principale sotto una tempesta di fuochi pirotecnici) tanto che gran parte delle feste tradizionali, oggi, hanno il patrocinio della Pro Loco o dell’assessorato al turismo. Lamenti funebri, giochi di mietitura, canti di lavoro e ninne nanne sono in gran parte scomparsi e spesso sostituite da forme di musica riprodotta e anche i canti per la raccolta delle olive e i canti alla pisatura (per la trebbiatura) sono stati rimpiazzati da ritmi pop radiofonici.

COSÌ ASCOLTARE il metallico rimbombo dei campanacci o le ballate con flauto e tamburello o le sequenze ritmiche puramente percussive dette scasciatammorr nel cd di 72 minuti di durata ci trasporta immediatamente in quel mondo misterioso dove le pratiche musicali rivestivano un ruolo di fondamentale importanza nelle comunità locali. Aiutati dalle immagini, in bianco e nero, di momenti pubblici e collettivi (i riti del carnevale, i pellegrinaggi, i culti mariani) in cui musicisti e figuranti sono parte integrante di un cerimoniale spesso assai complesso. E anche di momenti privati come la lavorazione artigianale di strumenti musicali, le preparazioni di importanti pratiche devozionali. E le indimenticabili performance dal vivo di suonatori di zampogna, organetto, tamburello e flauto che riportano in auge ancestrali sonorità collettive.