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Ritardi e sottovalutazione, Lucho è grave ma stazionario

Ritardi e sottovalutazione, Lucho è grave ma stazionario

Sepulveda ricoverato a Oviedo La prima visita il 27 febbraio, ma i medici spagnoli riscontrano la gravità solo due giorni dopo

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 4 marzo 2020

È sabato 29 febbraio quando finalmente i medici se ne accorgono, quel settantenne che ha la barba bianca del nonno anarchico andaluso e i capelli neri di un avo cileno mapuche non ha solo l’influenza. Le macchie bianche sulla radiografia ai polmoni parlano già chiaro, il tampone è definitivo: il Covid-19 è arrivato nelle Asturie.

Ci è arrivato a bordo di un uomo che ha scampato alcune dittature, qualche carcere e infinite lotte, che ha finito per parlare quattro lingue, usare tre passaporti e scrivere libri su libri, biografia in prima linea di una generazione. Si chiama Luis Sepulveda.

È grave Lucho, ma stazionario. Oltre il vetro della stanza di isolamento dell’Hospital central universitario de Asturias di Oviedo c’è la Pelusa, Carmen Yanez, la moglie così amata che l’ha sposata due volte – la prima nel Cile del sogno di Allende, la seconda in Francia dopo l’incubo di Pinochet. È in isolamento anche lei ma niente coronavirus, per ora. Ci hanno messo giorni, Lucho e la Pelusa, a passare dall’aspirina all’allarme globale.

Erano in Portogallo per «Correntes d’Escritas», festival letterario che si tiene poco a nord di Porto. A casa a Gijon, nelle Asturie, ci sono tornati in macchina il 23 febbraio. Sono circa 500 chilometri, e all’arrivo lo scrittore sudava e tremava. Ci vivono dal 1997, nella grande casa detta «Croce del Sud», approdo di una vita itinerante che dal Cile è passata per la stagione delle lotte (spesso armate) in Bolivia, Brasile, Paraguay, Ecuador e Nicaragua, poi per il giornalismo ad Amburgo, a Parigi e sulle navi di Greenpeace, infine di nuovo in Cile ma non più esule, quanto basta per capire che non funzionava più e trasferirsi a Gijon.

Il 25 febbraio Sepulveda si sente davvero male ma è solo il 27 febbraio che vede un medico. Alla clinica Covadonga di Gijon, però, lo visitano e lo rispediscono a casa raccomandando analgesici e riposo.

Il 29 febbraio torna alla clinica e sta peggio che mai, e Carmen ha febbre e mal di testa. E finalmente la lastra, il test, la corsa in ambulanza alla clinica universitaria della vicina Oviedo, dove il 1 marzo scatta l’allarme in tutto il principato: Lucho è il primo asturiano infettato dal coronavirus.

All’inizio il suo nome viene tenuto riservato, ma presto Carmen autorizza a pubblicarne l’identità: a parte la colf e la segretaria della «Croce del Sud», la coppia ha incontrato una trentina di persone, e almeno sette o otto in modo abbastanza prolungato. «Dite a mia moglie che sto bene», ha chiesto battagliero a un’infermiera: non sarà il maledetto virus ad arrivare dove non ha potuto Pinochet.

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