Nell’ambito della retrospettiva Titanus è stato scelto tra gli altri film Non stuzzicate la zanzara, anno 1967, regia di Lina Wertmüller, interpreti Romolo Valli, Giancarlo Giannini, Peppino De Filippo, Giulietta Masina, nomi importanti del cinema e del teatro italiano, ma la protagonista era lei, Rita Pavone nel momento del suo massimo splendore artistico.

Un buon motivo per farla venire a Locarno, anche perché da oltre quaranta anni Rita abita in Ticino, quindi lei qui è di casa. Infatti all’incontro con il pubblico l’affetto è palpabile, non solo quello di italiani e ticinesi. Per tutti coloro che hanno vissuto gli anni ’60 Rita è un’icona, mondiale. Ecco allora la signora argentina che la ringrazia, insieme a un tedesco che le ricorda le sue incisioni in quella lingua, e lei che replica dicendo di non conoscere il tedesco, ma accennando alcune note di Wenn ich ein Junge wär (Se fossi un ragazzo), brano poi ripreso anche da Nina Hagen.

Insomma non bisogna stuzzicare la zanzara perché poi lei diventa irrefrenabile, irresistibile, non c’è quasi bisogno di domande, il suo è un flusso inarrestabile di ricordi, accenni, rievocazioni e grande riconoscenza a quella voce che le ha permesso di girare il mondo e di essere amata dal pubblico. Non è da tutti, meno che mai da cantanti italiani, sbarcare ragazzi negli Usa e partecipare all’Ed Sullivan show. Rita lo ha fatto, più volte, esibendosi tra Ella Fitzgerald e Duke Ellington. Poi però è lei a raccontare un aneddoto indirettamente legato allo show e riferito a Elvis.

«Stavo incidendo a Nashville un disco per la Rca prodotto da Chet Atkins, musicista strepitoso, chitarrista che aveva fatto moltissime cose magnifiche, e lui stava producendo questo disco che si chiamava Rita Pavone, solo così. Durante una sessione discografica io, che non parlavo una parola di inglese, riesco a captare ‘Elvis, Elvis, Elvis’ e allora chiedo ‘ma stasera viene qua?’ e loro mi dicono ‘sì, perché lui incide sempre verso mezzanotte’. Avevo 19 anni e ho detto ‘beh, me lo fate conoscere, non è possibile che io non lo conosca’. E loro ‘no, guarda il suo manager, il colonnello Parker, è molto duro, non vuole che lui sia distratto da altre situazioni. No, no, sarà difficilissimo’.

Allora io ho fatto quello che fanno tutti i ragazzini, avevo 19 anni, ma sembravo più giovane, avevo appena fatto Gian Burrasca sembrava ne avessi, dodici, ho fatto un classico rimescolino. ‘Ma non mi potete fare questo (con voce frignante, nda) io torno a Torino e cosa dico ai miei amici? C’era Elvis e non l’ho conosciuto?’. Allora mi hanno detto ‘guarda, se fai la brava bambina cerchiamo…’

E allora si sono messi tutti intorno a un tavolo, sembrava fosse la pianificazione dello sbarco in Normandia. Uno diceva ‘allora io fermerò il colonnello Parker e gli dirò che la ragazzina che ha fatto l’Ed Sullivan Show vorrebbe conoscere Elvis, tu gli vieni incontro, gli porti la bambina…’ Mezzanotte. Fuori c’era un grande chiasso perché la gente sapeva che lui incideva sempre a quell’ora.

Prima entra il suo gruppo, poi entra il suo avvocato, poi entra il suo fonico personale, poi entra la sua segretaria e poi entra Elvis che era di una bellezza… era un momento in cui aveva i basettoni lunghi neri, i rayban gialli che all’epoca non si usavano ancora, e una camicia che non mi ricordo se era blu il colletto e la camicia nera o viceversa. Ma quello che mi colpì era una catena d’oro al collo che sembrava una catena di bicicletta. Io lo guardai e lui «hi guys, hey, but I know you, you’re the italian girl» e si fionda verso di me e mi pizzica la guancia «I saw you at Ed Sullivan» e allora io ho spiaccicato «may i have your picture, please».

E lui «I give you something more» e tira fuori un poster e me lo firma all’istante. Un poster che conservo come una reliquia con scritto ‘best wishes to Rita’. Poi lui va in studio.La porta si chiude e io dico a mia mamma «ma è vero? Era proprio lui?’ Questo è stato il mio più grande incontro».

E viaggiare è stato un altro sogno divenuto realtà «io che vedevo prima uno squarcio di cielo a sinistra dal balcone della cucina quando abitavamo in via Malta, poi alle case popolari Fiat del Lingotto, non avrei mai immaginato di potere un giorno uscire e conoscere il mondo». Altro grande momento di Rita, già accennato, quando Lina Wertmüller, per inciso vincitrice di un premio a Locarno con il suo film d’esordio, I basilischi, la vuole a tutti i costi per interpretare Gian Burrasca nello sceneggiato televisivo.

«Inizialmente doveva andare in onda alla tv dei ragazzi – racconta Rita – ma venne promosso addirittura in prima serata al sabato, nello spazio per tradizione dei grandi show. Al debutto le critiche furono aspre ‘la montagna ha partorito il topolino’ dissero. Poi dopo tre puntate fu un autentico trionfo. C’erano attori straordinari, le musiche di Nino Rota, io avevo studiato i comportamenti dei miei tre fratelli per essere in grado di interpretare un ragazzino. Ci furono addirittura interrogazioni parlamentari perché Gian Burrasca fuggiva di casa e questo avrebbe potuto essere considerato un’istigazione. Altri tempi».

O no? Lina da allora è complice di Rita al punto che nell’ultimo recentissimo album della Pavone, Masters, realizzato a 23 anni di distanza dal precedente, c’è lo zampino anche di Lina.

Ma affiorano altri ricordi di cinema a proposito di Rita la figlia americana «Vivarelli, il regista anche di molti musicarelli, era un pazzoide che voleva fare cose singolari e mise insieme questo film. C’era anche Totò, veramente un principe, uomo di una gentilezza e cortesia e umanità… tutti però avevano paura sul set perché andava a braccio, improvvisava in base a quel che di divertente gli veniva in mente e tu dovevi trattenerti dalle risate. È capitato anche a me in una scena in cui mi disse ‘chiuditi in camera e portami la chiave’ e ho dovuto davvero trattenermi. Fantastico».

 

Almeno quanto Rita, come aveva intuito Umberto Eco a suo tempo quando in Apocalittici e integrati la prese come esempio dell’irruzione sulla scena dell’adolescenza italiana «In Rita Pavone, per la prima volta, di fronte a un’intera comunità nazionale la pubertà si faceva balletto e acquistava pieni diritti».