Sarà il 17mo dei suoi 61 anni di vita il congresso che l’Arci inaugura oggi a Pescara. La prima assise nazionale di una delle grandi organizzazioni politico-sociali del paese a riunirsi nella nuova era, quella del governo Cinque Stelle-Lega, che avrebbe dovuto essere «del cambiamento» e invece, a scorrere i nomi dei ministri, si scoprono i volti del peggiore dei nostri passati, quello berlusconiano. In più: morte a migranti e rom, e probabilmente libertà di armarsi a chiunque, come negli Stati uniti.

È con questa amara realtà che l’Arci dovrà fare i conti, una situazione che la coinvolge forse più di quanto accade ad ogni altra grande organizzazione della sinistra: perchè la parte più dinamica e rappresentativa del suo corpo ( un milione di iscritti ) e in particolare della sua leadership, è giovane, per lo più della stessa generazione dei tanti che hanno votato per i grillini. Con questo problema bisogna fare i conti, non è possibile far finta di niente.

Come giustamente ha detto nel suo recente congresso nazionale, tenutosi circa un mese fa a Roma, la Rete della Conoscenza (che riunisce gli studenti medi e universitari di sinistra), che pure nelle sue belle tesi ha giudicato molto severamente filosofia e politica dei Cinque stelle: «Non possiamo ignorare che 8 su 10 dei nostri compagni di banco sono grillini, questo è il nostro principale problema». Nessuna condiscendenza o comprensione, insomma, ma neppure sottovalutazione del compito che ci aspetta.

L’Arci è nata in un tempo che i più giovani avvertono come preistoria, nel 1957: la società italiana era allora spaccata in due, da una parte il mondo cattolico democristiano, dall’altra quello che comunisti e socialisti avevano costruito, separato non solo per ragioni politiche e/o sindacali, ma per pratiche sociali: perfino il calcio e il ballo si svolgevano in terre diverse, rigorosamente chiuse l’una all’altra, attorno alla parrocchia le une, alle sezioni del PCI e del PSI ( allora ancora uniti dal patto d’unità d’azione), le altre.

Oggi tutto è diverso da allora e i circoli Arci – 4.401 – sono luoghi aperti dove si incontrano ragazze e ragazzi di provenienza politico-culturale variegata, non più – come un tempo – necessariamente legate ai partiti della sinistra. E però certamente ispirati da un insieme di valori che a quel campo fanno riferimento. Sono ancora moltissimi, l’Arci è la più grande associazione laica del paese, la sola struttura diffusa e ancorata al territorio che sopravvive dopo la quasi scomparsa dei partiti a questo livello. E però non siamo riusciti ad intercettare le spinte, gli umori, dei tanti che sono finiti nel calderone che sostiene l’attuale governo in nome di una fallace speranza di cambiamento. Vuol dire che noi non abbiamo saputo offrire una proposta di trasformazione della società ingiusta in cui viviamo capace di catturare le speranze di molti di coloro chi si sentono – e ne sono – le vittime.

L’Arci non è un partito, nei nostri circoli l’impegno sociale – la solidarietà, il volontariato – sono importantissimi, ma altrettanto ruolo gioca la cultura, la musica in particolare, il divertimento. Le nostre sedi – nelle regioni un tempo rosse spesso ancora le “sontuose” case del Popolo, nel sud in nuovi locali tenuti aperti con immani sforzi dei volontari – sono tuttavia preziosi luoghi di socializzazione nel deserto umano dei centri urbani e rurali.

Per riconquistare i giovani che potrebbero essere con noi e non lo sono, per avviare il difficile processo di ricomposizione della nostra lacerata sinistra, questi circoli sono uno strumento forse persino più importante di quello dei partiti. Ma proprio questa potenzialità ci deve spingere a reinventare le forme di una democrazia ormai immiserita, per tornare a declinare il “noi”, sempre più difficile da formulare in un tempo in cui la scomposizione del lavoro e la conseguente precarizzazione hanno prodotto un esasperato e paralizzante individualismo.

L’opposizione al nuovo temibile governo comincia da qui. Il che fare ce l’ha indicato con straordinaria semplicità don Milani: “ho scoperto che il mio problema – è scritto in “Lettera a una professoressa” – è uguale a quello degli altri. Uscirne tutti insieme è la politica. Uscirne da soli è avarizia”. Il più meschino e triste dei vizi.

In una sentenza che risale al tempo in cui fu varato il Trattato di Maastricht, la Corte Costituzionale tedesca aveva scritto che la Germania non avrebbe potuto aderire all’Unione Europea perchè la propria legge fondamentale post nazista proibiva l’adesione del paese a un’entità supernazionale non democratica. E tale era quella che si stava costruendo perchè – ecco la tesi del giudice Grimm – priva di quei corpi intermedi che consentono il collegamento dei cittadini con le istituzioni: partiti, sindacati, media, associazioni. Organismi che esistono a livello nazionale, non a quello dell’area europea.

Si tratta di una constatazione di grande importanza ( e per questo la cito sempre, scusatemi per la ripetizione).In quelle parole c’è una decisiva indicazione di lavoro per rendere realistica ogni proposta di cambiamento dell’UE, che non otterremo certo moltiplicando convegni ma solo costruendo il soggetto davvero europeo che può realisticamente battersi per gli obiettivi che formuliamo. Ma quella sentenza ci dice qualcosa che ci interessa anche a livello nazionale: quei corpi intermedi da noi si chiamano Cgil, Arci, Anpi ( solo per citare i più grossi).

Della loro importanza in un momento di crisi democratica quale stiamo vivendo ci siamo resi conto già nell’anno appena trascorso, per il ruolo che questi organismi hanno coraggiosamente assunto in occasione del referendum costituzionale e in altri momenti topici della politica italiana. Ciascuno nella propria diversità ha mostrato quanto queste reti siano importanti. Se pensiamo a cosa rischia di accadere nel prossimo futuro – e penso in particolare alla mobilitazione che si imporrà contro i diktat di Salvini – ci rendiamo conto che si tratta di organizzazioni preziose. L’Arci è una di queste. Il suo Congresso, così come, fra qualche mese, quello della Cgil, non riguardano solo i rispettivi iscritti.