Molto denso il sottotitolo del libro Dal lavoro alla cura (edizioni Interno4): «Risanare la terra per guarire insieme». Sembra un’esortazione a impugnare un programma politico finalmente esaustivo per quanto riguarda questo presente così tormentato, ma anche così pregno di responsabilità per le generazioni che lo hanno preso in carico e che lo consegnano con poche certezze a chi, prima che lavorare, dovrà essere sicuro che il suo mettersi all’opera serva a curare il pianeta e quindi a garantire un futuro di civiltà.

ALCUNI DEI CONTENUTI di questo libro sono già stati affrontati in un lavoro collettivo, seguito alla discussione sull’enciclica Laudato Sì, alle iniziative prese dall’Associazione di cui facciamo parte entrambi e alla stesura di un testo citato nell’introduzione (Niente di questo mondo ci risulta indifferente, a cura di Daniela Padoan).

Guido Viale si confronta con un ordine di priorità che costituisce forse il nodo di fondo dell’intero testo: la pretesa di attribuire un valore al lavoro indipendentemente dalle condizioni in cui si svolge e dai risultati che produce su società e natura. Una società percorsa da ineguaglianza sociale, e per questo condannata a un conflitto difensivo e alla fine svantaggioso pur di salvare posti di lavoro e una natura degradata e consumata da un eccesso di capacità trasformativa messa all’opera per il profitto.

L’AUTORE GIUDICA con pessimismo gli sforzi con cui le lotte del mondo del lavoro hanno cercato di contrastare il mito dello sviluppo, con cui il capitalismo e la sua versione più aspra del neoliberismo hanno giustificato una crescita divenuta ormai letale per la stessa sopravvivenza. Io continuo invece a pensare che l’aspetto collettivo, di classe, dell’emancipazione nel lavoro sia propedeutico all’esercizio di un potere per la riconversione ecologica delle produzioni, ormai insostenibili e pregiudizievoli non solo della salute, ma della vita stessa.

HO PRESENTE CASI, come quelli soddisfacenti della Caffaro a Brescia o della Centrale nucleare di Caorso o quella perdente dell’Alfa Romeo di Arese, in cui il futuro del lavoro non sarebbe diventato «purchessia». E’ per questo che la riconversione deve essere frutto di partecipazione: le alternative vanno concepite, progettate e costruite in conflitti articolati, a partire dai luoghi di lavoro, dagli ambienti, dal territorio, laddove si svolge la vita di tutti i giorni. A questo proposito Guido Viale cita il nuovo «sindacalismo di comunità», molto più attento alla condizione complessiva e alle vicende personali dei suoi membri e Landini (segretario generale della Cgil) parla di «sindacato di strada».

NOTEVOLE E’ L’ATTENZIONE per le basi conoscitive che vengono ampiamente illustrate per il percorso determinante di fuoriuscita dai fossili: «Diffondere una cultura energetica corrisponde al compito più urgente. Oggi l’accesso alle nuove opportunità è limitato a chi viene a conoscenza della loro esistenza, ne sa valutare la convenienza. Occorre invece una grande campagna di check-up energetici in tutti i territori, reclutando, formando e impegnando team misti per competenze (elettriche, elettroniche, idrauliche, edili, economiche e sociali)».

TROVO INFINE MOLTO stimolante e originale l’intero capitolo dedicato all’immigrazione e l’adesione al concetto di «cittadini di due nazioni». Concludo quindi con una citazione diretta: «Le migrazioni di oggi sono diverse da quelle dei due secoli scorsi: non sono per sempre; spesso non coinvolgono più intere famiglie; consentono, anche, grazie a internet, rapporti stretti con le comunità di origine, che ogni migrante potrebbe raggiungere facilmente in aereo se gli fosse permesso; e avvicinano chi trova un lavoro a tecnologie e metodi che potrebbero essere utilizzati per risanare e rivitalizzare i territori di origine. Se accolti in spirito di fratellanza e sorellanza, tanti migranti presenti in Europa potrebbero rafforzare i rapporti diretti, sociali, culturali ed economici, tra le comunità ospitanti e quelle native. I territori non sono di chi li possiede né le comunità di chi vuole controllarle, ma di chi li abita e di chi le frequenta e cerca di valorizzarne le risorse palesi e di suscitarne quelle latenti. Solo così è possibile costruire, per e con i migranti, una prospettiva che sfugga all’alternativa tra il respingimento a qualsiasi costo e una accoglienza troppo fragile, perché non fa i conti con il dopo.