Genocidi, piaga dell’inquieto e sinistro ’900, che si rinnovano sopravvivendo alla fine del millennio e si innestano, con nuove pratiche, anche nel presente. Non solo olocausto, dunque, ma prima ancora Armenia e anche bomba atomica. È partito da queste considerazioni, come a voler aprire un armadio e veder uscire di tutto, il convegno organizzato a Venezia dal Centro studi sui diritti umani, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia e Beni culturali di Ca’ Foscari, la Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Europe Direct, il Centro Pace del Comune e l’Associazione Olokaustos.

Numerosi relatori arrivati da tutto il mondo si sono confrontati su un tema smisurato, «Il genocidio: declinazioni e risposte di inizio secolo», lavorando sul piano sia giuridico che filosofico. È stata privilegiata l’area balcanico-medio orientale e l’evoluzione del genocidio nell’arco del XX secolo e agli inizi del nuovo, ma il convegno non si è sottratto all’approfondimento dei genocidi in alcune aree teatro della massima importanza negli ultimi decenni, dall’Africa australe all’America centrale, dal Ruanda al Guatemala.

A ben rappresentare la situazione guatemalteca la giudice Yasmin Barrios Aguilar, presidente del Tribunal Primero de sentencia penale del Guatemala, accompagnata a Venezia da Alberto Brunori, dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che dal 2004 segue la realtà guatemalteca e a cui abbiamo posto alcune domande sul paese centroamericano dopo la sentenza del tribunale che nel marzo scorso, esattamente un anno fa, ha condannato a 80 anni di carcere l’ex generale Efrain Rios Montt. Il dittatore è stato ritenuto responsabile dalla Yasmin Barrios, tra il 1982 e il 1983, dell’eccidio di almeno 1.771 indios discendenti maya dell’etnia Ixil, nel corso dell’operazione «Terra bruciata». Gli sono stati comminati 50 anni di reclusione per genocidio e altri 30 per crimini di guerra e contro l’umanità.

Una sentenza storica che ha però scatenato l’offensiva dei reazionari e ha prodotto, successivamente, una pronuncia a dir poco scandalosa con la quale la Corte costituzionale ha sentenziato di dover ricominciare nuovamente il processo, «Concordo col fatto che si tratta di una sentenza importantissima – dice Brunori -. Il generale Rios Montt é stato seduto per tre mesi davanti alle vittime e al resto del mondo. in America centrale non era mai stata pronunciata una sentenza per genocidio, prima di allora, ed è stata uno spiraglio per far luce sui crimini del passato. Per la prima volta, a trent’anni dai fatti, si riesce a far giustizia in nome delle vittime e del popolo.

Da quanti anni l’Onu segue la realtà del Guatemala?

La mia attuale presenza in quel paese è l’eredità della missione di pace che nel 2005 finì il mandato di verifica che aveva portato agli accordi di pace sottoscritti tra il Governo di Alvaro Arzù e l’ex guerriglia della Unidad revolucionaria nacional guatemalteca (Urng). Ricordo che in Guatemala tra il 1960 ed il 1966 vi fu una lunga guerra civile che provocò la morte o la scomparsa di ben 200 mila persone. L’Onu ha un mandato di assistenza tecnica allo Stato con particolare attenzione per la difesa dei diritti della popolazione, in particolare di chi soffre discriminazioni, razzismo, povertà e violenza sociale. Dopo il trattato di pace, infatti, tra i guerriglieri e il governo la giustizia di transizione non aveva fatto grandi passi in avanti. qualcosa è cambiato con l’arrivo della Fiscal General, una specie di procuratore con competenza nazionale, che precedentemente aveva lavorato molto sul tema dei diritti umani. La sentenza emessa è esemplare, parla di genocidio che implica razzismo e volontà di distruzione.

Ma ha anche provocato la dura risposta delle forze reazionarie del paese.

Certo, queste forze non la accettano e nella descrizione dei fatti negano il genocidio che pure era stato provato, ancor prima del processo, da una ampia indagine eseguita da una Commissione nazionale la quale aveva prodotto sui fatti ben dodici volumi concludendo che in Guatemala sono stati commessi atti di genocidio. È anche la versione ufficiale delle Nazioni Unite, da cui non si può prescindere. La giudice è stata accusata di aver attaccato lo Stato mentre si sa che in questo, come in tutti gli altri casi, l’accusa penale è rivolta esclusivamente alla singola persona. Queste reazioni hanno portato anche all’annullamento del processo. Ora siamo in una impasse su cui nei prossimi mesi sarà necessario far luce.

Oltre alla revisione del processo, proprio in questi giorni è arrivata anche una seconda sentenza della Corte Costituzionale. Di cosa si tratta?

La corte ha stabilito che la Pm dovrà andare in pensione in anticipo, ovvero non a dicembre, come era previsto, ma a maggio. Siamo preoccupati per questo. Negli ultimi tre anni si era riusciti ad aprire una breccia nell’impunità che ora rischia di richiudersi. L’Onu vigilerà perché ciò non si verifichi. Il processo è stato rinviato al 2015. Si apre una fase mai verificatasi in nessun altro paese del mondo. Contro la decisione è stata organizzata una manifestazione di protesta a Città del Guatemala. Bisogna vedere come il nuovo Pm che arriverà si organizzerà e seguirà i processi ereditati dalla precedente.

Ci racconti del processo che, comunque, rimane una pietra miliare.

Nella sentenza del processo che è durato tre mesi si legge che sono stati presi bambini e portati in altre località. Tali operazioni erano guidate da Rios Montt, che sapeva tutto e che non ha fatto niente per bloccarle, nonostante avesse tutto il potere per farlo, visto che era la massima autorità militare. Quando la sentenza è stata letta, ad ascoltarla in aula e fuori dal tribunale, in assoluto silenzio nella piazza dei Derechos Humanos, c’erano 600 persone tra le quali la Nobel per la pace Rigoberta Menchù, che ha seguito molte udienze. Oltre che dell’eccidio, l’ex dittatore è stato ritenuto colpevole dello sfollamento di circa 29 mila Ixil e della sistematica violenza sessuale perpetrata contro le donne dalle truppe che rispondevano ai suoi ordini. Novantotto testimoni hanno raccontato i danni emotivi e mentali del genocidio. Secondo le testimonianze i soldati hanno raso al suolo interi villaggi degli indios, hanno bruciato le loro case, distrutto i raccolti, ucciso gli animali e sterminato donne e bambini. L’accusa mossa agli indios era di costituire il mare dove nuotava la guerriglia.

Le cronache di allora hanno riportato che alla lettura della sentenza la giudice ha pianto.

Era inevitabile. Chiunque si sarebbe commosso ascoltando le ripetute atrocità commesse contro persone inerti.

E ora come è la situazione generale in Guatemala?

Gli accordi di pace tra guerriglia e governo prevedevano punti sostanziali rimasti a tutt’oggi non rispettati. Ad esempio l’accesso alla terra e ai diritti collettivi . Per questo il nostro ufficio rimarrà in quel paese, per informare sulla situazione dei diritti umani e offrire consigli e assistenza tecnica sia allo Stato che alla società civile.