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Rio 2, tripudio di piume nell’Amazzonia digitale

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Al cinema Arriva nelle sale il sequel del film d'animazione diretto da Carlos Saldanha sulle avventure di un gruppo di pennuti nel cuore della foresta brasiliana

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 17 aprile 2014

E se il cinema sperimentale, avanguardistico, quello vero, fosse proprio quello che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi e del quale a stento registriamo l’esistenza? Certo, dovremmo discutere su come gli aggettivi «sperimentale» e «avanguardistico» sono profondamente cambiati nell’era dello spettacolo globale e su cosa significhino oggi al netto di tutti gli apriorismi in gioco rispetto a una moltitudine di attori e fattori che solo trent’anni erano semplicemente impensabili.

Fatte dunque salve tutte le premesse possibili e immaginabili per potere svolgere fra virgolette di valore assoluto un discorso che ai più potrebbe sembrare una mera boutade o, peggio!, una provocazione, non resta che ammettere, ed è una conclusione anticipata a mo’ di paradosso, che il vero cinema sperimentale oggi lo producono le major. Il caso macroscopico di Noah, parrebbe essere la prova del nove di quest’ipotesi, se non si vuole tirare in ballo il perennemente dileggiato Michael Bay.

Certo sperimentale, nel caso del cinema praticato dalle major, va inteso in senso quasi strettamente etimologico, ossia di perimetro entro il quale si verifica lo stato della tecnologia in funzione a un film (o a qualsiasi insieme di immagini). E ancora: la sperimentazione non va, come nel caso delle avanguardie classiche, nella direzione di una messa in crisi delle strutture di pensiero e discorso dominanti, quanto nella reinvenzione costante dei processi di narrazione tradizionale.

Eppure, ed è un elemento a nostro giudizio nuovo, anche se nella riproposizione di strutture classiche, ciò che è messo radicalmente in gioco è il principio di percezione e individuazione, senza contare tutto il versante industriale che si attrezza instancabilmente e si reinventa come macchina in mutazione perenne.

L’aspetto politicamente più interessante di Rio 2 – Missione Amazzonia, da questo punto di vista, sono i titoli di coda, nei quali sono enumerate le nuove professioni del cinema delle quali pochissimi oggi hanno una piena consapevolezza. I titoli di coda, infatti, che elencano una miriade di nuove professionalità, sono la chiave d’accesso, per comprendere come il cinema, davvero, non è più il cinema.

http://youtu.be/IkZM1Zc0mBU

I nomi che compongono l’insieme dei titoli di coda di Rio 2 equivalgono a un villaggio svizzero di medie dimensioni. Si fa presto a dire «animazione» quando dietro questa parola, utilizzata senza alcuna consapevolezza da addetti ai lavori e non solo, si cela in realtà la reinvenzione dell’industria del cinema e una complessificazione del processo di produzione che è ben lungi dall’essere stato indagato in tutte le sue articolazioni economiche e politiche.

Motivo per cui si può anche sorvolare sulla considerazione che la sceneggiatura di Rio 2 possa tranquillamente essere contenuta in un tovagliolino da bar. Ciò che conta, se non si perde tempo con il prevedibile messaggio ecologico, è la perfezione inusitata non solo della dimensione stereoscopica del film, quanto l’impressionante ricchezza dei dettagli dei vari tipi di pennuti che svolazzano nel film. Mai visto al cinema piume di tale verosimiglianza e ricchezza di dettagli! A ciò si aggiunga una scala cromatica di rara complessità, una profondità di campo sempre credibile e coreografie aeree e non solo degne di un Busby Berkley digitale.

Lungo la traccia di un’esile commedia sentimentale che in realtà è anche un romanzo di formazione, il film inanella una serie di trovate davvero irresistibili come la coppia di tartarughe specialiste di capoeira che impiegano minuti interi a darsi un cinque e, soprattutto, la magnifica rana velenosa Gabi (cui in originale presta la voce Kristin Chenoweth), perdutamente innamorata di Miguel, pappagallo dalla vocazione scespiriana ormai incapace di volare costretto a usare come strumento di locomozione un formichiere. Gabi, consapevole di essere mortale per il suo amato primattore, si strugge platonicamente, tessendo con lui la tela della sua vendetta.

L’amore disperato e incondizionato di Gabi per il prode Miguel è l’elemento adulto del film, una femmina folle sensuale dall’aura fetish e pronta da un momento all’altro a trasformarsi in letale dark-lady priva di scrupoli. Così, mentre i bimbi che hanno riso a crepapelle abbandonano la sala, gli adulti restano a rimuginare sui titoli di coda che scorrono infiniti…

 

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