C’è stato un momento in cui il cinema d’azione più innovativo, moderno, entusiasmante, visionario si produceva a Hong Kong. Alla fine degli anni Settanta viene meno il monopolio detenuto dall’impero dei fratelli Shaw. Lo schermo di giada, insidiato dall’allentarsi delle maglie produttive e dall’avanzare della televisione, permette a nuovi talenti di farsi largo sulla scena del cinema di Hong Kong. Tsui Hark, prima fra tutti, poi Patrick Tam, Kirk Wong, Ann Hui, Allen Fong danno uno scossone fortissimo al cinema dell’ex colonia inglese, restando contemporaneamente dentro e fuori la tradizione del cinema praticato dai fratelli Shaw codificato in generi iconici e universamente riconoscibili.

Il wuxia pian, prima di tutto, ossia il racconto dei cavalieri spadaccini erranti, e il gong fu pian, i film di combattimenti a mani nude, genere del quale Jimmy Wan Yu e Bruce Lee poi sono stati gli alfieri prima che sorgesse l’astro di Jackie Chan. I primi anni Ottanta rappresentano un momento particolare per il cinema di Hong Kong. Roger Garcia, in uno scritto di molto tempo fa, definiva come «euforia capitalista» l’entusiasmo che si respirava a Hong Kong e che contribuisce a rilanciarne il cinema.

QUESTO MOMENTO di grande fervore dura in fondo pochi anni, prima che il sistema si riorganizzi e riprenda sfornare film di arti marziali e kung fu riletti, però, alla luce di un desiderio di rinnovamento molto forte. Questo particolarissimo momento della produzione dell’ex colonia inglese è – e oggi lo possiamo affermare con certezza – il momento in cui il cinema hollywoodiano rinasce(rà). Con Matrix, ovviamente, che darà vita al cinema d’azione postmoderno (e ancora oggi viviamo in pieno regime hongkonghese). Quando Tsui Hark affida a John Woo la regia di quello che sarà il primo capitolo di A Better Tomorrow (1986), il futuro regista di Face/Off è considerato una forza esaurita. 

Il successo del film, invece, non solo ne fa un nome di prima grandezza, ma crea un vero e proprio genere: il gangster film hongkonghese. Anche il cinema dell’ex colonia britannica, proprio come il cinema italiano, si regge sullo sfruttamento intensivo dei generi, e non sorprende che Ringo Lam firmi il suo primo grande classico, City on Fire, un anno dopo il successo di A Better Tomorrow. Ringo Lam (nome cantonese Lín Lingdong, mandarino Lam Ling Dung), nato a Hong Kong nel 1955, è figlio di questa straordinaria trasformazione del cinema di Hong Kong.

IL FILM che lo consacra immediatamente come regista originale e non solo emulo di Woo, è l’eccellente City on Fire dal quale Quentin Tarantino attingerà a piene mani per Le iene. Film che conquista due Hong Kong Film Award, miglior film e protagonista, suggella la complicità fra il regista e Chow Yun Fat, l’attore feticcio di Woo, che sarà il protagonista anche di Full Contact, del dittico Prison on Fire e di Wild Search.

Rispetto a John Woo, Lam ha sempre avuto un approccio più «sporco» e «documentario», privo della mitologia noir e cavalleresca di Woo. La violenza in Lam, come dimostra l’eccellente Full Contact, forse il suo apice, pervade le azioni sia dei buoni che dei… cattivi. Come una versione hard-boiled di Don Siegel, Lam ha fatto dell’essenzialità il suo marchio di fabbrica. Nel 1993 dirige il suo primo film in costume, Burning Paradise, prodotto da Tsui Hark. Due anni più tardi firma The Adventurers, un gangster movie con un inedito tocco melò.

Su questa frenetica ed entusiasmante attività cinematografica, gravava all’epoca lo spettro dell’handover, ossia il ritorno di Hong Kong alla Cina, cosa che ha favorito un esodo di talenti verso Hollywood non ottenendo, purtroppo (ma era facilmente prevedibile), i risultati sperati. Anche Lam, come Woo, paga la tassa Jean-Claude Van Damme ai produttori. Muscles from Brussels non è un interprete indegno, ma la combinazione fra richieste dei produttori e pretese dell’attore fanno sì che Maximum Risk soffra di molte limitazioni anche se il risultato è assolutamente dignitoso. Con Van Damme, Lam si ritrova per The Replicant e Hell, discreti B movie nei quali, purtroppo, l’energia di Full Contact e City on Fire è un ricordo lontano. Lo spettro della censura cinese, che aveva spinto all’esodo, si ritrova soppiantato dall’incomprensione degli studios hollywoodiani che tentano in tutti i modi di silenziare e rendere americani Ringo Lam, John Woo, Kirk Wong, Ronny Yu, Jackie Chan e tutti gli altri.

E IL RITORNO a casa non è meno problematico: la geniale anarchia morale e politica del cinema di Hong Kong pre-handover deve fare i conti con le regole della censura cinese. Lam in questo sistema tenta di adeguarsi, ma, stando ai risultati, con sempre meno convinzione, e molto cinismo dettato dalla mera volontà di sopravvivenza. La morte di Ringo Lam segna dunque davvero la fine di un mondo e di tutto un modo di fare cinema. E non solo a Hong Kong.