Questa volta le ruspe dell’amministrazione capitolina sono rimaste a riposo. Avrebbero dovuto abbattere le abitazioni delle famiglie rom dell’area F di Castel Romano, dove vivono 96 persone. La baraccopoli istituzionale, inaugurata nel 2005 dalla giunta Veltroni, conta complessivamente circa 550 abitanti. È situata nella riserva naturale di Decima Malafede ed è stata posta sotto sequestro a luglio di quest’anno nell’ambito di un’inchiesta per reati ambientali. «L’ordine di “lasciare i container dove viviamo” è anche la speranza più forte che nutriamo da anni», hanno scritto il 31 agosto le famiglie sotto sgombero in una lettera alla città e alla sindaca Virginia Raggi. Quel giorno hanno manifestato in Campidoglio per dare forza alle loro richieste.

30 nuclei su 35 hanno presentato da tempo la domanda per la casa popolare, ottenendo punteggi molto alti. L’attesa è complicata dal fatto che da nove mesi non sono pubblicate le graduatorie. Chiedono a Raggi di attivare lo strumento della «riserva» dell’Edilizia residenziale pubblica (Erp). Secondo il regolamento regionale, infatti, il 15% degli alloggi Erp liberi possono essere utilizzati per situazioni di particolare vulnerabilità, come quelle delle famiglie sgomberate. Questa strada ha un precedente inatteso: è stata praticata dal sindaco leghista di Ferrara Alan Fabbri per portare a termine la chiusura del campo rom di via delle Bonifiche.

Gli altri cinque nuclei familiari dell’area F di Castel Romano, invece, non hanno diritto all’alloggio popolare perché si trovano in condizione di irregolarità. La richiesta che avanzano è una protezione umanitaria «a tempo» e in strutture adeguate, affinché possano regolarizzarsi e trovare una soluzione abitativa autonomamente.

«La sospensione dello sgombero di oggi è un successo – commenta Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, da sempre vicina ai rom della capitale – Potrebbe però rivelarsi parziale se le famiglie di Castel Romano continueranno a restare isolate nella battaglia. Chiediamo alla città di mobilitarsi e alle tante realtà sociali e politiche di uscire allo scoperto, affermando che il diritto alla casa non fa distinzioni di etnia». La 21 luglio si è detta «colpita» soprattutto dall’incapacità della giunta Raggi di avviare un dialogo vero con le famiglie. Per fare pressione sul Comune ha promosso un appello e un mail bombing diretto alla Sindaca e all’Ufficio rom, sinti e caminanti. L’associazione propone di sospendere lo sgombero fino al 31 dicembre e accogliere le richieste delle persone.

Del resto tra le misure di contrasto dell’epidemia varate dal governo c’è anche una moratoria sugli sgomberi che varrebbe fino alla fine dell’anno. Il condizionale è d’obbligo dal momento che la legge è già stata violata: proprio nella capitale e proprio sulla pelle dei rom. L’11 agosto vigili e ruspe si sono presentate in via del Foro Italico 531, sede di un insediamento «tollerato» nato negli anni ’90, per allontanare gli abitanti e distruggere le baracche. Quasi tutti, in realtà, erano già andati via nei giorni precedenti.

Come accade spesso in questi casi, è bastata la minaccia dello sgombero per spingere le persone ad abbandonare le case di fortuna e portare con sé i pochi averi. Così, dei 129 abitanti registrati nell’ultimo censimento (ma solo ad aprile erano il doppio), gli agenti della polizia municipale si sono trovati di fronte 12 persone: quelle che non sapevano proprio dove andare.

«Pugno duro con chi vive nell’illegalità e assistenza per chi ha bisogno», ha dichiarato la sindaca Raggi in quell’occasione. A un mese esatto dalla prova di forza, però, le 12 persone sono ancora là, divise nelle ultime quattro baracche rimaste in piedi, in condizioni di maggiore precarietà. La situazione, promette il Comune, dovrebbe sbloccarsi il 15 settembre con il trasferimento in un due appartamenti.

«Sono disperata, lunedì inizia la scuola e non so come fare: lo sgombero mi ha rovinato la vita», racconta Giuliana. È nata a Napoli ma non ha la cittadinanza italiana perché i genitori erano sprovvisti di residenza. Si è trasferita in via del Foro Italico a cinque anni e ci ha vissuto per tre decenni. Insieme alla baracca che aveva costruito, arredato e sistemato, ha perso il lavoro. «Il giorno dello sgombero ho rilasciato un’intervista. La signora da cui facevo le pulizie non sapeva che abitavo nel campo. Quando mi ha vista in televisione, mi ha licenziata. Guadagnavo poco e in nero, ma era qualcosa. Purtroppo c’è ancora tanto razzismo». La sua preoccupazione principale sono i figli: uno deve iniziare la seconda media tra quattro giorni, «ma non ho soldi per i libri»; l’altro andrà all’asilo. Il giorno dello sgombero suo marito non era al campo e non è stato registrato. Non hanno voluto inserirlo nell’elenco dei residenti nemmeno davanti ai certificati di paternità dei bambini. Così se anche la soluzione promessa dal comune dovesse concretizzarsi Giuliana sarebbe costretta ad abitare sotto lo stesso tetto con 5 o 6 persone quasi estranee, ma non con il marito. «Ti sembra possibile?», chiede.

L’improvvisa attenzione sull’insediamento del Foro Italico era nata da un servizio delle Iene trasmesso il 2 giugno. Le immagini avevano mostrato la presenza di una discarica abusiva adiacente alle baracche. «Hanno fatto bene a pulire la discarica, era uno schifo. Ma si poteva fare senza buttarci per strada», dice un’altra signora appena esce dal campo. Effettivamente i lavori di pulizia procedono, con una grande ruspa che prende i rifiuti dai bordi del fiume Aniene e li carica nei camion container che si allontanano sollevando polvere. Un’area considerevole è già stata svuotata.

«Neanche a noi piaceva avere la spazzatura là dietro – continua Giuliana – Il problema è che se sei rom quando sbaglia uno pagano tutti. Bastava trovare i responsabili, togliere i rifiuti e stabilire delle regole. Invece hanno distrutto il campo. Così la maggior parte delle persone si sono riversate tutto intorno». A Villa Ada, lungo i fiumi Aniene e Tevere, sul colle di Monte Antenne, a Largo Pugliese sono improvvisamente comparsi nuovi micro-insediamenti.

Il presidente del III municipio Giovanni Caudo, già assessore all’urbanistica con Ignazio Marino e secondo alcuni possibile candidato nelle eventuali primarie del centro sinistra per la corsa al Campidoglio, ha scritto una decina di giorni fa alla sindaca chiedendo di intervenire sugli «accampamenti temporanei» di Ponte delle Valli e Piazza Conca D’Oro. La questione, però, rimane sempre la stessa: le persone non scompaiono con gli sgomberi e senza alternative vere il problema della mancanza di case si sposta solo un po’ più in là.