Aprendo Dei delitti e delle pene, il libro a cura di Patrizio Gonnella e Susanna Marietti (Giappichelli, pp. 144, euro 14) con un atteggiamento certamente incuriosito, ma anche perplesso, ci si chiede cos’altro potrà essere detto attorno alle pagine di Cesare Beccaria a cui tutti ci riferiamo continuamente nel lungo dibattere sulle pene, sul loro significato, sulla concezione che si è andata modulando nei più dei duecentocinquant’anni che ci separano dalla sua pubblicazione? Inoltre, si può essere intimiditi per il fatto che commenti ce ne sono stati molti a cominciare da quello di Voltaire, scritto nel 1766 mentre il testo veniva messo nell’indice dei libri proibiti. Che altro è possibile dire, dunque?

Non solo, ma l’ambiente culturale a cui anche io appartengo e che vede nei due autori, Patrizio Gonnella e Susanna Marietti (ordine solo alfabetico) un grande e riconosciuto motore attraverso le iniziative di Antigone mi portava a credere che l’asse del loro commentare i diversi capitoli di Dei delitti e delle pene fosse quello che la copertina della sua antica edizione del 1780 indicava: una Giustizia, seduta e imponente che rifugge dagli strumenti di morte, tortura e violenza che avevano finito per corredare la sua immagine e il rapporto che le persone avevano con il suo agire. Pensavo cioè a un nocciolo tematico unico, importante, ma concentrato, disegnato appunto attorno all’impegno quotidiano dei due autori.

NON È COSÌ, IL TESTO è denso di spunti importanti e intriganti. Perché le pagine, scritte nelle pieghe in cui il sapere filosofico incontra quello dell’analisi sociale per confluire, insieme, nel solco del diritto, affrontano direttamente quell’ampia tematica con cui Beccaria non costruisce un trattato giuridico penalistico bensì fonda l’asse di una nuova cultura. Incide nel sapere diffuso; incide nel sapere istituzionale e con tali incisioni affronta la possibile costruzione di modelli diversi di percezione del rapporto tra rendere giustizia e percezione di una giustizia vicina.

In questo aspetto, fondamentale anche per l’oggi, si inseriscono le annotazioni, i commenti, le aperture problematiche che Gonnella e Marietti formulano, consegnandoci uno strumento per un sapere, vivo che sa dialogare al presente e indica sfide ancora da risolvere.

Certamente la sfida del limite dell’esercizio penale, che rinvia al loro impegno continuo, è presente sin dal primo Commento dei due autori: «Non di rado il diritto penale, anche nella contemporaneità – scrivono – ha perso la sua connotazione di legge al servizio della libertà di tutti e si è trasformato in strumento di lotta politica, di repressione ingiustificata, di imposizione di stili di vita. Tornare alle origini del diritto penale significa ricordarsi che è ingiustificata ogni forma di punizione che non sia realmente funzionale a garantire una vita tranquilla e sicura» e parlano, quindi, di «quota minima di comportamenti che è veramente necessario punire» escludendo sempre ogni logica di castighi meritati.

MA, PROPRIO PERCHÉ l’asse della rete di commenti non si restringe a tale ambito, particolare attenzione va riservata alle annotazioni attorno ai capitoli dal XXII al XXV laddove le considerazioni di ordine sociale e politico scaturiscono naturalmente dalla lettura dell’impostazione di Beccaria che giunge – come sappiamo – a disconoscere la «sacralità giuridica» della proprietà privata.

QUI IL COMMENTO spazia da considerazioni circa l’inconsistenza di ogni forma di penalizzazione della «non appartenenza», cioè della persona straniera, perché «maggiori dovrebbero essere i motivi contro un nazionale che contro un forestiere», a quelle relative al necessario variegarsi delle sanzioni possibili. Temi dell’oggi, debitamente commentati in un’ottica di rivolgersi anche a un pubblico giovanile per far riscoprire una di quelle pietre miliari da cui si delinea la civiltà giuridica di un Paese. Da riscoprire e da non perdere. Anche con questi puntuali commenti.