Nessun problema di numeri alla camera dei deputati, quando domani il presidente del Consiglio chiederà la fiducia. Sulla carta i deputati favorevoli al nuovo governo sono 350, esattamente lo stesso numero che votò sì il 6 giugno dell’anno scorso allo stesso presidente del Consiglio e a una maggioranza tutta diversa. Molto altro è cambiato, basta ricordare che il capogruppo del Pd Graziano Delrio – oggi tessitore con Conte dei nuovi equilibri e tra i più convinti nel Pd dell’accordo con i 5 Stelle – incendiò il dibattito sulla precedente fiducia, definendo il presidente del Consiglio «pupazzo dei partiti» e inchiodandolo al suo terribile lapsus sul «congiunto del presidente Mattarella».

Qualche problema in più per il governo ci sarà al senato, dove il voto è in calendario martedì, ma certamente non per la prima fiducia quanto per la successiva navigazione. Sulla carta M5S, Pd e Leu raggiungono esattamente la quota della maggioranza assoluta, 161 voti, ma dovrebbero arrivare almeno a 170 grazie all’appoggio di altri senatori del gruppo misto e del gruppo delle autonomie. Il Conte uno all’esordio toccò quota 171, per poi però scendere quasi sempre sotto e qualche volta salvarsi con l’aiuto di Forza Italia e Fratelli d’Italia. D’ora in avanti sarà tutto più difficile, anche perché vanno messe in conto possibili defezioni tra i grillini: ieri il senatore M5S Paragone (che è già fuori dal conteggio della maggioranza) ha scritto che potrebbe non essere il solo del gruppo a non votare la fiducia, alludendo probabilmente al collega Ciampolillo. E sarà difficile soprattutto nelle commissioni, dove i giallo-rossi sono spesso sul filo della maggioranza e non possono contare, come spesso i giallo-verdi, sui voti aggiuntivi del partito di Giorgia Meloni. Problema doppio nelle commissioni che hanno un presidente leghista, al senato sono ben sei: Affari costituzionali, Finanze e Giustizia innanzitutto, e poi Difesa, Istruzione e Agricoltura.

Su molti temi non c’è grande attesa per quello che dirà in aula Conte, che nella preparazione del discorso può contare sull’aiuto del segretario generale di palazzo Chigi Roberto Chieppa, il tecnico di fiducia che intende promuovere a sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Per quanto riguarda economia, investimenti, tasse, giovani, ambiente, territorio, autonomie la traccia dell’intervento è nel programma in 29 punti approvato da M5S e Pd. Vago quanto basta. Ma su altre questioni le parole di Conte andranno ascoltate con attenzione, perché proprio la precarietà dell’intesa tra i nuovi alleati fa si che a contare saranno le sfumature.

Sulle infrastrutture, ad esempio, nel programma c’è scritto l’ovvio – che bisogna realizzare nuove infrastrutture tenendo conto dell’impatto sociale e ambientale -, ma il presidente del Consiglio pronuncerà o non pronuncerà la parola Tav che ha già fatto litigare la ministra De Micheli e tutta la delegazione grillina? Sull’immigrazione e l’eredità salviniana, oltre a girare tutte le responsabilità all’Europa come si fa nel programma, Conte si limiterà a recitare la formula «rivisitare alla luce delle osservazioni del presidente della Repubblica» o chiarirà almeno un po’ cosa vuol fare dei decreti sicurezza? Correggerli con un nuovo decreto o prevedere una disegno di legge «organico» (altra traccia del programma) che ha tempi lunghi? Senza dimenticare che c’è ancora una nave con i profughi a bordo che aspettano di poter attraccare in porto. Magari qualcuno della stessa maggioranza potrebbe chiederne conto al presidente, che dovrà poi replicare.

Sulla giustizia, Conte parlerà genericamente di riduzione dei tempi e riforma del Csm, che vuol dire poco, o aggiungerà in che direzione intende muoversi, rischiando così di far litigare i due principali partiti della maggioranza? E infine, ma su quello che Di Maio pretende sia il primo atto della camera a settembre, il taglio dei parlamentari, calcherà sulla necessaria «contestualità» della riforma elettorale alla quale tiene il Pd? La contemporaneità è impossibile, visto che per la riforma costituzionale manca un solo voto e della nuova legge elettorale si deve ancora discutere. Ma proprio per questo un’indicazione di Conte in favore del proporzionale sarebbe assai gradita dal Pd.