Da Bruxelles Matteo Renzi tuona contro quella parte del Pd «minoritaria» che «riapre discussione che sembravano chiuse» ogni volta che lui va all’estero. A Roma salgono a 19 i senatori della maggioranza che non digeriscono le riforme del premier. Ieri si è aggiunta la firma di Tito Di Maggio, dei Popolari per l’Italia, agli emendamenti di Vannino Chiti e Mario Mauro che tra l’altro chiedono un senato elettivo. E i numeri nell’aula di palazzo Madama, come dice anche il presidente Piero Grasso, sono dunque «sul filo del rasoio», nonostante l’ottimismo sfoggiato ieri dal pur irritato presidente del consiglio, che annuncia per la prossima settimana o la fine della successiva i primi voti in commissione e in aula. Indispensabile la tenuta di Forza Italia e della Lega in aula (non in commissione, dove i numeri ci sono).

In commissione affari costituzionali gli emendamenti saranno messi in votazione a partire da lunedì pomeriggio. Si partirà dai punti meno a rischio, visto che i forzisti, dopo le tensioni dei giorni scorsi, dovranno certificare la loro posizione giovedì mattina nella riunione dei gruppi, alla presenza di Silvio Berlusconi. E anche la Lega aspetta quell’appuntamento. I lavori in commissione dunque dureranno più del previsto e quindi il testo non potrà arrivare in aula il 3 luglio, come annunciato. Se ne riparlerà non prima di lunedì 7.

In questo quadro ballerino, cercano di farsi spazio i 5 Stelle: «Diciotto senatori del Pd si sono dichiarati contrari al Senato di Renzi – ricorda Luigi Di Maio, vicepresidente della camera, facendo un riassunto degli ultimi giorni – Altri quattro di Forza Italia si sono associati. Ma sembra che nel partito di Berlusconi circa due terzi voglia un Senato elettivo. Renzi ha aperto alla nostra proposta sulle preferenze. Dopo poche ore Romani (capogruppo Forza Italia) suo alleato per l’Italicum, gli ha chiuso la porta in faccia con un secco: ’non se ne parla’». Conclusione di Di Maio: il Movimento 5 Stelle «non è arrivato in ritardo, ma al momento giusto».