Sarà anche una mezza legge, perché vale solo per la Camera; sarà anche un mezzo «pasticcio», come sostiene Pippo Civati; o un «bordellum» intero, come maligna Beppe Fioroni; ma venerdì, o al massimo l’inizio della prossima settimana, Montecitorio approverà l’Italicum. E così Matteo Renzi metterà la bollinatura (il timbro «fatto», di recente memoria) alla prima delle sue promesse: la riforma della legge elettorale.

In realtà fra il sì della Camera e l’approvazione di una legge davvero utilizzabile in caso di voto, c’è di mezzo il mare: intanto perché sarebbe appunto un «bordellum» andare alle urne con due meccanismi diversi per ciascuna camera, quindi la legge è inservibile fino alla riforma del senato, e cioè campa cavallo; secondo, perché è ancora tutto da verificare che «l’Italicum» non presenti dubbi di costituzionalità; terzo, perché ieri in Transatlantico e in aula si contavano frotte di scettici: dai resistenti lettiani che hanno mantenuto l’emendamento per le primarie obbligatorie, alle democratiche in rivolta contro l’accantonamento della parità di genere, ai falchi forzisti, all’ex ministro Mauro che annuncia il ricorso alla Consulta.

Ma alla fine la soluzione della riforma per una camera sola, che sancisce la fine del rischio di voto anticipato (peraltro mai realmente corso) ha messo d’accordo tutti. E cioè, in ordine di peso: Berlusconi con cui Renzi ha stretto l’accordo; Ndc che resta imprescindibile per l’azione di governo; la sinistra Pd che segna una vittoria, anche solo apparente, dei propri argomenti e si vede riconosciuto un ruolo. Renzi è riuscito a tenere tutti, stavolta. «La coperta è corta. Quando prima la tirava, scopriva Letta. Ora se la tira troppo scopre se stesso», ragionava ieri il veltroniano Walter Verini. C’è molto realismo nel Renzi di governo, spiegava invece Giuseppe Lauricella sul Secolo XIX: «Il vantaggio per Renzi è che incassa lo stesso risultato che voleva. Il suo obiettivo è di far approvare una legge. Non gli interessa che si tratti di un modello piuttosto che un altro. Questa è la verità». Lauricella è il deputato del Pd siciliano autore del lodo della riforma monocamerale. La cui vera ispiratrice sarebbe però la senatrice Anna Finocchiaro, dalemiana doc.

Qualsiasi legge purché sia. Quello che conta, per Renzi, è arrivare con il vento in poppa alle europee del 25 maggio, la prova del fuoco del suo ’assalto’ a Palazzo Chigi senza passare per il voto popolare e con la ruvida defenestrazione di Enrico Letta. Per questo ora l’Agenda Renzi è zeppa. Di titoli. «L’urgenza della sua azione riformatrice è dettata dalle urgenze del paese, dalle europee, e ora anche dall’Europa», ragiona ancora Verini. L’avviso della Commissione europea, che ieri ha alzato il livello di allerta sull’Italia retrocedendola a «paese con squilibri macro-economici eccessivi», è per il premier un motivo in più per correre.

Dunque la ’fase uno’ del governo sarà l’annuncio di tutte le riforme possibili. La campagna prevede un giro per le scuole d’Italia in 80 giorni, tanti ne mancano al voto europeo. Ogni settimana uno scalo. Ieri da Siracusa ha spiegato: «non passerelle politiche, non ne abbiamo bisogno. Dobbiamo fare cose operative». E, in consiglio dei ministri, lavori a tappe forzate. Mercoledì prossimo lancerà «alcuni provvedimenti importanti come il jobs act, gli interventi sulla scuola e interventi per il piano casa. Ci sono 2 miliardi di euro pronti per l’edilizia scolastica». Ma ieri il premier era preso da una coazione all’annuncio: «Sbloccare il patto di stabilità» per il Nord, «garantire un migliore impiego dei fondi europei al Sud». E fare in modo che vengano utilizzati i soldi che ci sono per il dissesto idrogeologico, «un miliardo o due». E ai sindaci: «Vi faremo scatenare».

Se tutti tutto questo sarà realizzabile, e poi realizzato, lo si vedrà dopo il 25 maggio: «Mi prendono in giro perché annuncio una misura al mese, ma non c’è alternativa: o proviamo a fare misure choc di cambiamento o sprechiamo la ripresa come abbiamo già sprecato la crisi». «Ora aspettiamo il merito dei provvedimenti, e vedremo. Ma ha ragione», ammette anche Matteo Orfini, della sinistra pd che ormai non può non tifare per il successo alle europee, ovvero per il successo di Renzi: «Quando si sceglie di andare in bicicletta non c’è alternativa: o si pedala, o si cade».