Riforme, Pd: guerra di proposte
Senato Due proposte firmate dai democratici per mantenere l'elezione diretta. Si allungano i tempi in commissione, renziani nervosi: obbligatorio finire entro le europee
Senato Due proposte firmate dai democratici per mantenere l'elezione diretta. Si allungano i tempi in commissione, renziani nervosi: obbligatorio finire entro le europee
Il disegno di legge costituzionale del governo ancora non c’è, il testo è quello «ufficioso» pubblicato sul sito di palazzo Chigi; pare sia questione di ore, ma quando la via renziana al superamento del bicameralismo paritario sarà depositata al senato troverà davanti a sé altri tre progetti di legge firmati da senatori del Pd, oltre a quelli di quasi tutti gli altri partiti. Naturalmente il governo non considera nemmeno l’ipotesi che la commissione affari costituzionali prenda un altro come testo base della riforma, anzi un gruppo di sfegatati senatori renziani già avverte che «il ddl che l’aula dovrà esaminare è quello presentato dal governo Renzi». Punto e basta: i lavori della commissione sarebbero così finiti prima ancora di iniziare. Ma l’entusiasmo non è tutto e non può andare così.
Il più «vecchio» (ha appena un paio di mesi) progetto di legge sul bicameralismo firmato dal Pd è quello meno pericoloso per il governo, è un prodotto di menti renziane (presentatore il senatore Tonini). Chiede di disegnare il nuovo senato sul profilo del Bundesrat tedesco come se l’Italia fosse uno stato federale, ma non prevede l’elezione diretta dei senatori quindi non disturba lo schema governativo. Assai diversi gli altri due progetti di legge. Quello presentato dal senatore Tocci segue quello depositato dalla corrente di Civati alla camera che qualifica la funzione del senato come organo legislativo per un numero limitato di leggi (costituzionali e di organizzazione dello stato) e soprattutto organo di controllo. Riduce il numero di componenti a 200, di cui 162 eletti direttamente e 38 dai consigli regionali, e parallelamente abbassa i deputati a 470. La riduzione è ancora più spinta nel caso del progetto di legge presentato dall’ex ministro delle riforme del governo Prodi II, Chiti: 315 deputati e 170 senatori. È il testo più pericoloso per il governo, perché conferma il ruolo centrale della camera alta nell’assetto e sfida Renzi sulla riduzione dei costi della politica, visto che taglia i parlamentari più di quanto non proponga di fare l’esecutivo. Questo progetto di legge ha già le firme di una ventina di senatori e giustifica un certo nervosismo tra i renziani. Che invece non hanno nulla da temere dagli altri progetti che ricadono nel cerchio della maggioranza, come quello presentato ieri da Monti che immagina senatori scelti da diverse istanze regionali (anche dalle «autonomie funzionali e sociali», tipo le camere di commercio) ma comunque non dai cittadini con il voto diretto.
Ieri una riunione dell’ufficio di presidenza del gruppo Pd ha concluso che le diversità di opinioni tra i senatori democratici devono essere approfondite. Martedì, a inizio della settimana in cui il ddl Renzi-Boschi-Delrio è atteso in commissione, ci sarà una nuova riunione, probabilmente con la ministra delle riforme Boschi che già oggi pomeriggio risponderà alle osservazioni dei senatori della prima commissione. L’intenzione è quella di mediare su tutti gli aspetti che il governo non considera fondamentali, che però non sono molti. Nel ddl approvato dal Consiglio dei ministri sono rimasti alcuni punti critici destinati ad essere utilizzati dall’esecutivo come moneta di scambio. Cadranno così un bel po’ di senatori di nomina presidenziale (attualmente 21) e sarà previsto un rapporto tra la popolazione residente e il numero dei senatori spettanti a ciascuna regione, per evitare ad esempio che il Trentino Alto Adige abbia più senatori della Lombardia. Questo in cambio della rinuncia a correzioni più sostanziali.
Sono però i tempi della discussione a tenere sulle spine governo e renziani. La necessità di tenere conto degli altri testi complica il lavoro della commissione, affidato alla regia della presidente Finocchiaro. Si moltiplicano per questo i richiami all’ordine: «Nessun passo indietro», «Bisogna concludere entro le elezioni europee», ripetono i senatori vicini al presidente del Consiglio. Mentre il responsabile enti locali del Pd Bonaccini si incarica di ricordare alla conferenza delle Regioni, che ha ancora qualche residua perplessità, il verbo del momento: «Bisogna correre».
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