Qui si cambia il mondo, sorridete! Il forum dell’economia mondiale di Davos non aveva ancora chiuso i battenti della sua decima edizione che il vice-presidente della Commissione Europea Olli Rehn ha richiamato all’ordine gli italiani. «Mi aspetto che approfittino della stabilità politica da poco conquistata per fare progressi nelle riforme, incluse privatizzazioni e mercato del lavoro».

Non perde un colpo Olli Rehn, il commissario Ue agli affari economici in scadenza, da quando inviò il 4 novembre 2011 la lettera dello sfratto al governo Berlusconi o, per dirla con Luciano Gallino, del «colpo di Stato». I suoi trentanove punti sono stati ribaditi per filo e per segno non al presidente del Consiglio Enrico Letta (assente), ma al ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni che a Davos ha annunciato la privatizzazioni di Poste e Enav il giorno prima del Consiglio dei ministri che l’ha ufficializzata.

Per l’eurocommissario l’Italia deve «lanciare un piano audace», tutto privatizzazioni e flessibilizzazione del lavoro (le «riforme strutturali») per recuperare sette posizioni perse nella classifica stilata dal World Economic Forum. Nel 2013 l’Italia si è piazzata al 49° nella classifica sulla competitività mondiale. Rehn finge di ignorare che il paese che più di altri in Europa (salvo la Grecia) ha seguito gli ordini della Troika ha perso il 9,1% del Pil rispetto al 2007. La metà non verrà recuperata prima del 2019. Lo ha spiegato ieri il Centro Studi di Confindustria secondo il quale sono stati bruciati oltre 200 miliardi di euro di reddito ai prezzi 2013, quasi 3.500 ad abitante.

Interpellato su Italia e Francia, Rehn ha rilevato come entrambi i paesi abbiano «perso quote del mercato globale negli ultimi 10 anni. Per questo devono ridurre i costi unitari del lavoro». Questo dovrebbe essere l’obiettivo del «JobsAct» di Renzi, provvedimento molto ben accolto quando il sergretario Pd ne ha inviato una bozza via mail agli iscritti. E’ bastato questo per convincere la Commissione a eleggerlo a garante della «stabilità» della scena politica italiana e delle riforme da fare.

Alcuni dei punti conosciuti di questo provvedimento, scomparso da giorni dalla scena, sono contenuti nella Diktat Ue. La lettera è un capolavoro della schizofrenia dell’austerità: da un lato, chiede un ammorbidimento della precarietà e tutele; dall’altro lato incentivi alle imprese e flessibilità per i neo-assunti, il taglio dei parlamentari e una riforma costituzionale. Proprio quello che dice di voler fare Letta e il Pd con Forza Italia di Berlusconi.

La consapevolezza dell’esigua efficacia della politica monetarista è fonte di qualche pensiero per il Presidente Bce Mario Draghi che ha registrato «drastici miglioramenti» rispetto alla situazione in cui versavano i paesi europei nella fase acuta della crisi sui debiti pubblici. L’inflazione dell’area euro è finita «ben al di sotto dei nostri valori obiettivo» e resterà così per più di due anni. «Non vediamo deflazione ma l’inizio di una ripresa, che resta debole, fragile e disomogenea – ha detto Draghi durante il summit – Se dovesse mai esservi deflazione, la risposta arriverebbe utilizzando tutti gli strumenti disponibili». Non la pensa così la direttrice dell’Fmi Lagarde secondo la quale le possibilità di deflazione sono al 15-20%.

La «crescita» da prefisso telefonico non produrrà comunque l’aumento dell’occupazione nell’area valutaria, come ha confermato in settimana un report del commissario Ue al lavoro Laszlo Andor. «Ora è essenziale occuparci della questione di risanare le banche in Europa», ha ribadito Rehn riprendendo l’invito del Fondo Monetario Internazionale. Per questo Draghi è impegnato nella costruzione dell’Unione Bancaria europea. Già oggi si sa che non basterà a risolvere la frammentazione del sistema e a superare il «credit crunch» che impedisce di far arrivare risorse alle famiglie e alle aziende nell’Europa del Sud.

Nulla però deve cambiare. Per Draghi i paesi dell’area euro non devono mostrare «alcuna esitazione» sul risanamento dei conti pubblici e sul rigore di bilancio. «Verrebbero immediatamente puniti dai mercati». Gli sforzi già fatti sull’aggiustamento dei conti pubblici «non vanno vanificati». Ma i tassi di interesse resteranno al minimo, l’inflazione sotto il 2% e le iniezioni di liquidità (cioè la missione attuale della Bce) non basteranno a rilanciare la crescita. Nella pittoresca Davos, in un summit a metà tra pellegrinaggio religioso e una convention aziendale, tra ex star hollywoodiane famose come Goldie Hawn e un karaoke nel bar di un hotel a tre stelle (cosi racconta il New York Times), questa realtà ben conosciuta ormai è stata denunciata solo da pochi economisti neo-kenesiani come Joseph Stiglitz.

I ministri dell’Economia hanno chiesto un’accelerazione dei negoziati WTO per la liberalizzazione dei commerci sulle tracce dell’intesa di Bali. Tutto dev’essere portato sul mercato: agricoltura, prodotti industriali e servizi.