La lista delle osservazioni critiche è lunga, i suggerimenti di modifica sono tanti: il disegno di legge costituzionale che introduce il referendum propositivo non esce troppo bene dal ciclo di audizioni della prima commissione del senato. Approvato tre settimane fa dalla camera, sarà molto probabilmente modificato dai senatori. Se l’originario annuncio di Di Maio di vederlo approvato definitivamente entro la primavera (leggi: le elezioni europee) era apparso immediatamente irrealizzabile, si può adesso dubitare che la legge bandiera sulla «democrazia diretta» arrivi per quella data a una doppia lettura conforme. Che per le leggi di revisione costituzionale è appena la metà del percorso.

Nel frattempo alla camera si definisce l’iter dell’altra riforma costituzionale, la riduzione del numero dei parlamentari. Già approvata in questo caso al senato e con il sostegno anche di un bel pezzo dell’opposizione, quella di destra. Il Pd sta provando ad allargare la portata della riforma, collegandola ad altri disegni di legge che prevedono l’estensione del voto per il senato anche ai 18enni, la differenziazione delle funzioni tra le due camere e una modifica al meccanismo di elezione del presidente della Repubblica che tenga conto del ridotto numero dei deputati. Cambiare la legge significherebbe rimandarla al senato e certamente allungare i tempi di discussione. Anche per questo Lega e 5 Stelle sono contrari, ma hanno accettato di rimandare la decisione al termine di un lungo (tre settimane) ciclo di audizioni, nelle quali le minoranze cercheranno di guadagnare argomenti in favore dell’allargamento del campo. In ogni caso alla riduzione dei parlamentari – la più radicale di cui si sia mai discusso, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori – si accompagna inevitabilmente una modifica della legge elettorale. Lega e 5 Stelle, sorprendentemente per i secondi, hanno deciso di cambiare salvaguardando però il Rosatellum, con il risultato di amplificare i comprovati difetti di quel complicato sistema di voto.

Tornando al senato, l’interesse per le audizioni dei costituzionalisti sul disegno di legge che introduce il referendum propositivo stava nel fatto che i professori dovevano valutare un testo profondamente cambiato rispetto a quello originario sul quale si erano già (criticamente) espressi. Si può anzi dire che le modifiche sono state in buona misura la conseguenza delle critiche dell’accademia. Eppure il generale apprezzamento dei professori per le correzioni non ha evitato una nuova serie di appunti, in molti casi originati proprio dai miglioramenti introdotti dall’aula della camera. Ad esempio, se è adesso prevista la «eguale conoscibilità» tra la proposta di iniziativa popolare che va al referendum propositivo e la legge eventualmente approvata sullo stesso argomento dal parlamento, ieri è stato fatto notare che questo rischia di riproporre quella «sfida» tra camere e «popolo» che si era voluta evitare eliminando il testo del parlamento dalla scheda. Dunque, meglio che il testo parlamentare resti sullo sfondo. E ancora, aver previsto l’inammissibilità del referendum su proposte che «non rispettano la Costituzione» è apparso a tutti i costituzionalisti troppo vago («formula atecnica e pericolosa» secondo De Siervo) e a molti troppo poco. Tanto da far preferire un semplice richiamo alle cause di inammissibilità previste per il referendum abrogativo. Altrimenti, è stata la previsione, arriveranno referendum propositivi di contenuto abrogativo, escamotage per superare i limiti più stringenti (ad esempio sulle leggi tributarie).

Assai criticata anche la novità del controllo preventivo di costituzionalità, che il testo adesso prevede anche per le leggi approvate dal parlamento in concorrenza con quelle referendabili, un regime speciale che difetta di razionalità. Da ultimo è arrivato un allarme dell’ufficio centrale per il referendum della Cassazione, per il quale sono previste nuove funzioni: dovrà valutare se le modifiche del parlamento sono «meramente formali» e di conseguenza bloccare il referendum e dovrà conteggiare le firme raccolte anche prima del raggiungimento della soglia delle 500mila (il controllo di costituzionalità può infatti essere chiesto anche a 200mila firme). I rappresentanti dell’ufficio hanno spiegato ai senatori di non avere gli strumenti per poterlo fare: «Si rischiano – hanno detto – disfunzioni e sofferenze».