Una maggioranza scarsa e una fiducia piccola piccola, la più stretta per il governo Gentiloni alla camera (escludendo quella sulla manovrina, alla quale erano dichiaratamente mancati tutti i voti di Mdp). È passata così, e sarà legge dello stato dopo la firma di Mattarella, la riforma del processo penale. Contiene anche le deleghe al governo per intervenire sulle intercettazioni (entro tre mesi, e il ministro Orlando intende farlo anche prima) e sull’ordinamento penitenziario (entro un anno, le intenzioni del ministro sono le stesse ma non potrà essere altrettanto rapido).

La legge è un contenitore (un solo articolo con 95 commi) che mette assieme diverse proposte dall’iter tormentato nella legislatura. Si va da alcune misure deflattive del carico di processi (come l’estinzione mediante riparazione dei reati procedibili a querela, nuove regole per le impugnazioni, una stretta sui ricorsi in Cassazione) alla facilitazione del ricorso alle misure alternative al carcere, al (contraddittorio) aumento delle pene per i reati di furto e rapina, alla riforma della prescrizione che sostanzialmente sarà sospesa (ma per i reati commessi da dopo l’entrata in vigore della legge) per un anno e mezzo dopo il primo grado e un altro anno e mezzo dopo l’appello – solo però in caso di condanna. Un’altra novità è il potere del procuratore generale di avocare al suo ufficio, quindi presso le corti d’appello, i fascicoli per i quali il pm non ha chiesto il rinvio a giudizio o l’archiviazione in tre mesi dalla chiusura delle indagini. Novità contro la quale è tornata a protestare l’Associazione magistrati, prevedendo «gravi disservizi negli uffici»: quelli dei pg sono assai meno dotati di quelli dei pm. L’Anm critica anche la delega sulle intercettazioni, non tanto per le norme che cercheranno di limitare la diffusione dei colloqui non rilevanti, quanto per i nuovi limiti all’uso dei software spia (da adesso riservati alle indagini per mafia e terrorismo).
«Dopo un lungo percorso parlamentare è una giornata importante per la giustizia italiana», festeggia finalmente Orlando, che non sempre ha avvertito il sostegno di Renzi e del Pd durante tre anni di trattative sulla legge. Eppure questa, come tante in questa legislatura alla camera dove pesa l’incostituzionale premio di maggioranza, è una legge votata essenzialmente dal Pd. Le trattative il ministro ha dovuto farle con Alfano e il suo gruppo, i quali alla fine non hanno sabotato ma neppure aderito.

Su 267 voti favorevoli al provvedimento, 239 sono del Pd (e mancano all’appello una quarantina di voti renziani). Nel gruppo di Alfano, dopo una sofferta dichiarazione di voto a favore («c’è un po’ di dolce e un po’ di aspro», ha spiegato Adornato, indicando tra le cose aspre la prescrizione troppo lunga e la videoconferenza per gli imputati), hanno votato a favore solo in 7 su 26. Quasi tutti in missione o assenti al momento del voto (anche lo stesso Adornato è risultato assente) e un contrario di peso, il ministro agli affari regionali Costa (ex vice alla giustizia): «La riforma spinge verso un illiberale processo perpetuo», ha detto.
Più o meno la stessa linea aveva seguito Ap in occasione del precedente voto di fiducia, che è servito al governo per mettere al riparo la legge dai voti segreti: un terzo del gruppo centrista non ha votato la fiducia al suo governo, come pure aveva garantito. Ma il gruppo dei bersaniani ha fatto anche di più. Anche i deputati Mdp (ma con motivazioni opposte rispetto agli alfaniani) non hanno troppo apprezzato la legge, dichiarando alla fine un voto di astensione. Sulla fiducia invece nessun dubbio: «La si voterà perché non ci prestiamo a giochi che possano mettere in difficoltà il governo», ha detto il deputato Zoggia. Poi però metà gruppo, 20 deputati su 40, la fiducia non l’ha votata, risultando assente nel momento della chiama dei parlamentari. Consapevoli loro come tutti che la sovrabbondanza della delegazione Pd tiene al riparo il governo da qualsiasi incidente alla camera.
Almeno nel voto palese. Quello segreto, come ha dimostrato la legge elettorale, è tutta un’altra storia.