Riunioni, limature, spacchettamenti. Ci sono voluti undici giorni per varare la «riforma fantasma» della pubblica amministrazione, da ieri pubblicata finalmente sulla Gazzetta ufficiale. Cinquantatre articoli visibilmente diversi da quelli stampati quasi per caso nelle bozze diffuse da palazzo Chigi. La supplenza esercitata dal Quirinale ha rimediato ai vuoti legislativi usciti dal Consiglio dei ministri proponendo un nuovo assetto del provvedimento: da un lato c’è la pubblica amministrazione e semplificazioni, dall’altro la crescita.

Il ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia ha ammesso l’esistenza delle pressioni di lobby: «Sicuramente ci sono state, ci sono adesso e ci saranno ancora. Mi auguro che il Parlamento nel corso della conversione in legge, non le annacqui ma le migliori». La lettura del testo permette anche dare un volto, presunto, alle «lobby» in questione. Si tratterebbe senz’altro dei militari che, insieme ai giudici, hanno ottenuto un posticipo della pensione. Chi ha maturato i requisiti cesserà l’attività entro il 31 dicembre 2015 o alla naturale scadenza. L’obiettivo è garantire l’operatività del sistema giudiziario e quello della difesa nazionale.

Anche la Vicesegretaria Pd Deborah Serracchiani ha confermato la pressione di «lobby fortissime» e ha lanciato un messaggio di guerra, e di auto-stima: «Questa nuova classe dirigente si è messa in testa di smontarle una ad una». Sorge a questo punto il dubbio che, tra gli alti funzionari dello Stato, le «lobby» siano più numerose e che lo «smontaggio» della burocrazia sarà piuttosto lungo e vedrà coinvolto il governo nell’insidioso conflitto sui decreti attuativi delle «riforme» decantantate dal Pd e dal suo governo. Una volta, finalmente, disperso il polverone e, grazie all’aiuto del Quirinale, il governo sembra avere messo in ordine le idee sulla riforma che conferisce i nuovi poteri all’autorità Anticorruzione presieduta dal super-magistrato Raffaele Cantone.

I provvedimenti più tangibili di una riforma leggera e ancora informe sono: la mobilità obbligatoria fino a 50 chilometri per i funzionari P.A. e soprattutto il taglio del 50% dei distacchi e dei permessi sindacali. L’entrata in vigore di un provvedimento definito dalla Cgil come «una vendetta contro i delegati sindacali», è stata rinviata al 1 settembre e vale per tutte le organizzazioni sindacali. Si punta molto al «ricambio generazionale» attraverso l’abolizione da fine ottobre dell’istituto dei trattenimenti in servizio che permette di allungare la carriera oltre l’età pensionabile.

Da questa mossa il governo pensa di assumere 15 mila «giovani». Non è ancora chiaro che fine faranno i precari della pubblica amministrazione. Verranno assunti per concorso? E chi lo ha vinto e aspetta un posto, dovrà rifare le procedure.In attesa di conoscere la soluzione al rebus, il governo ha deciso di allentare il blocco del turn-over per le assunzioni.

Per le amministrazioni centrali confermata la percentuale di assunzioni rispetto alle cessazioni dell’anno precedente pari al 20% per il 2014, al 40% per il 2015, al 60% per il 2016, 80% per il 2017 e 100% per il 2018.Ma questi tetti non si riferiscono alle persone, ma alla spesa complessiva. Grazie alla riforma, vengono tagliati del 75% ifondi per le spese legali e del 10% per gli avvocati dello Stato.

Dalla «staffetta generazionale» sono stati esclusi i medici. Con il pensionamento per anzianità senza nuove assunzioni sono prevedibili fino a 7 mila medici in meno. La denuncia è del segretario nazionale Fp-Cgil Massimo Cozza secondo il quale il primo articolo della legge 90 sulla pubblica amministrazione consente alle aziende sanitarie di mandare in pensione i dirigenti medici con 42 anni e 6 mesi di contributi, 41 anni e 6 mesi per le donne. La norma, già in vigore, riguarda i dirigenti medici che hanno riscattato circa 10 anni di laurea e specializzazione. Secondo le stime basate sul conto annuale della Ragioneria generale dello stato sono circa 7 mila i medici che potrenno rientrare nel pensionamento.

«Riteniamo sbagliato che tale norma preveda l’arbitrarietà delle aziende nel decidere quali medici mandare in pensione e quali no – afferma Cozza – Una criticità in linea con la logica di asservimento della dirigenza pubblica alla politica che pervade il progetto sulla pubblica amministrazione del governo».