Si fa strada il dubbio che il Pd (parte maggioritaria del campo progressista) possa essere colpito da una sorta di sindrome Draghi, prigioniero di una linea attendista per non disturbare l’azione del deus ex machina. Con un rischio.

Che preferisca sbianchettare le proposte e le idee che maggiormente possono incidere nella dialettica destra-sinistra e nello spostamento in avanti dei rapporti di forza. Sarebbe un errore clamoroso. Si passerebbe, senza soluzione di continuità, dall’illusione grillina dell’«uno vale uno» a quella, ora in voga, dell’«uno vale per tutti».

Le forze di sinistra – dentro e fuori la maggioranza – devono, invece, giocarsi bene la partita, scegliendo di privilegiare le questioni su cui la destra è in maggiore difficoltà rispetto alle dichiarazioni programmatiche del presidente Draghi. Riforma fiscale ed Europa sono i due terreni di gioco.
Sebbene nel suo discorso d’insediamento Draghi abbia sottolineato l’urgenza di un intervento sistematico sul fisco e ne abbia ribadito la progressività, l’esito non è affatto scontato. Sarebbe difficile per tutto il centrodestra abbandonare il cavallo di battaglia della flat tax e Matteo Salvini, da parte sua, continua a chiedere la «pace fiscale» ovvero nuovi condoni e sanatorie. L’esperienza ci dice che con i condoni l’erario ha incassato poco mentre la propensione ad evadere ha trovato nuovo alimento e incoraggiamento.

La credibilità della riforma fiscale si misura innanzitutto dalla capacità di contrastare una evasione e una elusione che toglie allo Stato in media 110 miliardi all’anno, una cifra pari alla metà dei fondi – una tantum – del Pnrr. Su questo obiettivo va lanciata la sfida alla destra.

Siamo uno degli Stati più indebitati al mondo e, al contempo, il paese con una ricchezza privata (finanziaria e immobiliare) che supera i diecimila miliardi (circa quattro volte l’ammontare del debito). Ma a giudicare dalle dichiarazioni dei redditi del 2018 metà della popolazione italiana sarebbe nullatenente. I dati recenti dell’Agenzia delle entrate, inoltre, confermano che il gettito Irpef deriva per l’81 per cento da pensionati e lavoratori dipendenti, mentre il 70 per cento degli imprenditori, lavoratori autonomi, professionisti evadono o eludono il pagamento delle tasse. Non solo dell’Irpef, ma anche dell’Iva, dell’Ires, dell’Irap, dell’Imu, della Tosap, ecc.

Il leader della Lega cerca di cavalcare la rabbia di una piccola borghesia – composta da ristoratori, baristi, negozianti – stremata e impoverita per il Covid. L’argomento delle tasse fa presa e rischia di essere convincente. Se la sinistra non vuole abbandonare questi settori della micro-imprenditoria all’abbraccio della destra, andando incontro ad una sconfitta sicura e duratura, deve farsi promotore di una sorta di «contratto sociale» tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi.

La riforma degli ammortizzatori sociali in senso onnicomprensivo potrebbe essere il primo segnale del superamento di uno schema che ha mostrato, con la pandemia, tutti i suoi limiti. Secondo questo schema l’evasione del variegato mondo dei lavoratori autonomi è trattata con benevolenza e tolleranza, ma per loro, in caso di calo o perdita di reddito, non agiscono le stesse tutele previste per i lavoratori dipendenti. L’emergenza che stiamo vivendo ha dimostrato quanto sia importante uno Stato sociale che, invece, garantisca tutti, senza distinzione alcuna. Forse è il momento giusto perché la sinistra politica e sindacale provi a stringere un patto di solidarietà tra categorie di lavoratori considerati in perenne contrapposizione.

Lo Stato, da parte sua, al fine di assicurare uguaglianza di trattamento nell’erogazione delle prestazioni sociali, si fa garante che tutti i cittadini adempiano al loro obbligo fiscale, ognuno secondo le sue possibilità, come dice la Costituzione. Quanti evasori in questa pandemia hanno beneficiato di ristori, di bonus e di cure della sanità pubblica? Da ora in poi spetta all’Agenzia delle entrate, utilizzando la massa dei dati e la potenza di calcolo di cui dispone, vigilare con rigore e far pagare chi cerca di evadere. Sarebbe un buon inizio per il riordino complessivo del sistema tributario nel segno dell’equità, della semplificazione e della trasparenza.

L’ancoraggio all’Europa, infine, rappresenta un altro terreno da non sottovalutare nella lotta alla destra nazionalista e per tenere aperta una prospettiva di cambiamento. Senza l’intervento massiccio della Bce e senza il Next Generation Eu lo scenario sarebbe stato certamente più drammatico. Un passo in avanti per accelerare il processo di integrazione sarebbe l’accordo degli Stati sul coordinamento europeo delle politiche di bilancio. Una riscrittura dei trattati è fondamentale. Non dobbiamo temere di cedere quote di sovranità se serve ad avviare una governance europea che comprenda la sanità, la transizione ecologica, le innovazioni tecnologiche, l’antitrust. L’orizzonte europeo è quello che può dare maggiori chances alla sinistra e alle sue battaglie.