Probabilmente gli unici ad avere delle conferme da Ritorno alla vita, ultima fatica di Wim Wenders presentata al Festival di Berlino, sono coloro che sostengono che il lavoro del regista tedesco non presenta elementi degni di nota da decenni. Eppure, pur essendo lontanissimo dai fasti degli anni ’70 ma anche da risultati audaci, contraddittori ma appassionanti come Fino alla fine del mondo, Wenders non ha mai smesso del tutto di continuare a inviare segnali di irrequietezza. Ritorno alla vita, infatti, potrebbe essere letto come la confessione in controluce di un cineasta che prova a fare i conti con il suo passato, la sua opera e il suo eventuale lascito.

James Franco interpreta Tomas, uno scrittore in crisi d’ispirazione che si ritira in un isolato villaggio canadese innevato nella speranza di riuscire a battere la pagina bianca. Alla guida della sua auto, frena all’ultimo secondo quando dal nulla un bambino compare davanti alle ruote. Spaventato a morte ma sollevato, accompagna il piccolo a casa dalla madre, interpretata da Charlotte Gainsbourg. Lo sgomento della donna gli apre gli occhi: i bambini erano due. L’altro giace sotto la macchina. La difficoltà di ricominciare a vivere, assimilare la morte ed elaborare il lutto, non impediscono a Tomas di ritornare a essere uno scrittore di successo anche se tormentato dal ricordo. Alle prese con una vicenda che sembrerebbe essere più prossima a un soggetto di Susan Bier messo in scena da Atom Egoyan (la neve, il lutto), Wenders compone un credibile ritratto di una menomazione interiore che si scioglie solo nel finale.

Intriga del film l’indifesa morbidezza del tratto, segno sì di un accademismo diventato maniera, ma anche di un desiderio di continuare a orientarsi nel mondo. Ritorno alla vita non riesce a porre in prospettiva il passato remoto wendersiano. E vano sarebbe entrare in sala sperando in uno scatto visionario. Eppure è proprio l’insostenibile fragilità dell’insieme che in qualche modo riesce a trasmettere qualche baluginante segnale di vita. Come resistere alla tentazione di vedere lo stesso Wenders nella figura di Tom? L’ansia di dire e le difficoltà di continuare a stare nel mondo in quanto artista in grado di fare la differenza sono i segni distintivi del Wenders giramondo, cineasta glocal no global ma suo modo completamente calato nei meccanismi della comunicazione contemporanea.

La dolce insistenza con la quale la macchina da presa tenta di cogliere anche i minimi movimenti dello sguardo di James Franco ci sembra il segno di un tentativo non riuscito ma comunque degno di rispetto di stare nel mondo come differenza, accettandone le contraddizioni e assumendole responsabilmente. Ritorno alla vita in questo senso è la cronaca fedele del tentativo di Wenders di continuare a sfidarsi e a porsi domande. Il parziale fallimento di questo processo è la paradossale misura della sincerità dell’impresa.