Divisi su tutto, litigano su tutto,ipersensibili a tutto, gli alleati di governo Lega e 5 stelle sono ormai come una coppia che un divorzio tardivo porta alla baruffa anche su questioni non proprio urgenti. E così è successo che Il Sole 24 ore pubblica l’ultima bozza delle linee guida della riforma degli enti locali. Una polpetta avvelenata per pentastellati. Nel testo c’è il ritorno all’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri di provincia. Di fatto il ripristino dell’ente mezzo abolito dalla riforma Delrio del 2013. Mezzo, perché quella riforma ha prodotto il caos delle attribuzioni delle vecchie competenze, e guai per i cittadini. Eppure le province in realtà sono rimaste, come scatole vuote, con tanto di presidenti e consiglieri scelti con elezione di secondo grado (votano sindaci e consiglieri comunali). Per abolirle serve una norma costituzionale. Quella approvata dal centrosinistra renziano è stata spazzata via dal referendum del 2016.

FATTO STA CHE alla lettura dei giornali i 5 stelle si sono imbizzarriti. Anche perché di seguito è arrivato anche lo sfottò di Matteo Renzi: «Pur di andare contro alle scelte del nostro governo, fanno risorgere le vecchie province».

DI MAIO subito boccia la bozza: «Gli sprechi si tagliano, è sempre stato così per il M5s. Le province vanno abolite». Ma sulle sue parole si abbatte la sconfessione della Lega: «I 5Stelle non possono cambiare idea ogni giorno su tutto. Oggi tocca alle province, distrutte da Renzi con gravi danni per i cittadini. Un viceministro 5Stelle lavora per rafforzarle, un altro ministro 5Stelle lavora per chiuderle».

ALLUSIONI, MA CIRCOSTANZIATE: in sostanza la Lega sostiene che al tavolo tecnico i pentastellati erano d’accordo. Il sottosegretario Stefano Candiani lo rivela apertamente: «La settimana scorsa il testo è stato letto e presentato in Conferenza Stato-città» e lì «fino ad ora abbiamo avuto ottima corrispondenza sia negli intenti che nell’impostazione», senza province «ci troviamo con strade, edifici scolastici e servizi provinciali abbandonati a se stessi. Oggi abbiamo delle province sostanzialmente ridotte ad uno stato larvale, con grave rischio anche di danni per la sicurezza dei cittadini». Poi, visto che l’ente va ripristinato, va ripristinata anche l’elezione diretta. Candiani si cava il gusto di concludere alla grillina: «La democrazia è riconoscere al popolo il diritto di scegliere i propri governanti». In serata arriva il sigillo di Salvini: «Vogliamo dare i servizi ai cittadini. Se i comuni non riescono a farlo, servono le province».

D’ALTRO CANTO anche l’abolizione proposta da M5s è a chiacchiere, spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti (Pd): « I due partner di governo sono curiosi. La Lega vuole ridurre i parlamentari ma intanto vuole aumentare la classe politica locale», e infatti il ripristino delle province porterebbe a 2500 nuovi incarichi da distribuire nel territorio, cosa che può far piacere e ai politici locali, alla vigilia del voto amministrativo e europeo. «All’opposto – continua il deputato – il M5S vuole eliminare le province senza passare per la necessaria revisione costituzionale».

MA UNA LEGGE COSTITUZIONALE su questi temi, con la Lega e il Pd contrario, non è all’ordine del giorno. E i 5 stelle, armati di tutta la loro retorica contro «il costo delle poltrone» – la stessa che usò il Pd nel referendum – ora non possono accettare la nuova provocazione della Lega. Da Pechino il premier Conte para i colpi: «Il dibattito lo affronteremo quando torneremo». Ma quando tornerà avrà da affrontare il cruciale dossier Siri. Il M5s pretende le dimissioni del sottosegretario indagato, la Lega non vuole sentire ragioni. Il tema delle province, dopo, potrebbe non porsi mai più, almeno per questa maggioranza.