Ancora una volta, nel governo, si è tornati a parlare con insistenza della possibilità di un nuovo condono edilizio. Conviene affrontare l’argomento, sebbene la questione sembra essere stata stralciata dal «Decreto Semplificazione».

Così, a fronte della sua preoccupante ricorrenza, è utile chiarire alcuni punti su condono edilizio (e abusivismo).

1. L’abusivismo edilizio in Italia è un fenomeno di massa, che riguarda milioni di edifici (principalmente, ma non esclusivamente, abitazioni). Non esistono stime accurate del fenomeno, ma, secondo alcuni studi, a essere costruito abusivamente in Italia sarebbe, ogni anno, più del 10% del patrimonio edilizio.

2. L’abusivismo edilizio non è quasi mai una questione di “necessità”. Non si tratta, cioè, di persone che violano le leggi perché questo è l’unico modo per accedere a un’abitazione. E’ soprattutto una questione di convenienza. Si violano le norme per risparmiare – denaro e tempo (per esempio, non aspettando un certo permesso e non pagandone i relativi costi) – o, più semplicemente, perché si vuole edificare in un luogo in cui è proibito farlo (per esempio, in riva al mare).

3. L’abusivismo ha spesso effetti nefasti: impatta negativamente su finanze e infrastrutture pubbliche locali, compromette risorse naturali importanti, diminuisce la qualità dell’ambiente urbano. In alcuni casi, poi, uccide – come raccontano casi di cronaca drammatici, come quello di Casteldaccia, nel novembre 2018.

4. L’abusivismo ha cause complesse, tra le quali vanno annoverata anche ragioni politiche: in molte aree del paese l’abusivismo è stato supportato dalla classe politica locale come modo per costruirsi un solido bacino elettorale o per dare risposta a una domanda di edificazione che non si poteva (o voleva) soddisfare attraverso politiche pubbliche ordinarie.

5. La repressione dell’abusivismo tramite la demolizione è estremamente complicata, per esempio a causa della complessità delle procedure e dei suoi costi elevati (demolire un edificio può costare centinaia di migliaia di euro a un Comune, il quale, spesso, non riesce a recuperare tale somma dal proprietario dell’immobile illegale). Non è un caso che, dal 2004 in avanti, solo il 20% degli immobili colpiti da un ordine di demolizione è stato abbattuto.

6. L’abusivismo edilizio non è affrontabile semplicisticamente attraverso la repressione. Ciò non implica, tuttavia, che un ennesimo condono sia la strada migliore da percorrere.

7. La storia recente dell’Italia è segnata da tre condoni edilizi a livello nazionale – approvati nel 1985, 1994 e 2003. Un mini-condono edilizio è poi stato promosso nel 2018 dal primo Governo Conte in relazione ad alcune aree colpite da eventi sismici.

8. La ricorrenza dei condoni edilizi in Italia è stata un formidabile incentivo alla diffusione dell’abusivismo: si è costruito illegalmente nell’attesa che un successivo condono permettesse di regolarizzare l’abuso.

9. Le autorità pubbliche locali si sono dimostrate spesso incapaci di gestire efficacemente le pratiche di condono. Nel 2015 più del 30% dei 15,4 milioni di domande presentate complessivamente nel corso dei tre condoni nazionali non era ancora stato esaminato dagli uffici comunali competenti. Si trattava di 5,4 milioni di pratiche in totale, di cui 3,5 milioni relative al condono del 1985. Ciò è legato sia alla mancanza di risorse umane da dedicare all’analisi di tali pratiche, sia alla volontà politica di non scoperchiare un vaso di Pandora: processare una domanda di condono significa correre il rischio di doverla rigettare nel caso in cui l’edificio non sia condonabile e, conseguentemente, di dover procedere con l’istanza di demolizione – evenienza, come detto, spesso sgradita dalla politica locale.

10. I condoni edilizi sono stati giustificati alla luce di diversi problemi, molti dei quali erano e sono reali. Tuttavia, la relazione tra la soluzione di tali problemi e lo strumento del condono è assai dubbia. Per esempio, si consideri la volontà di rilanciare il ciclo edilizio e il mercato immobiliare: si tratta di un tema rilevante, ma l’esistenza di una sua relazione con il condono edilizio è discutibile. O, ancora, si pensi al bisogno di incamerare risorse pubbliche: è una necessità lampante, ma non è obbligatoriamente risolvibile tramite il condono (per esempio, l’esame delle domande relative ai vecchi condoni che sono ancora inevase comporterebbe un incasso complessivo, per le casse di Stato e Comuni, di più di 21 miliardi di euro).

È alla luce di questi fatti che l’idea di un ulteriore condono appare deprecabile e la sua pervicacia all’interno del dibattito politico italiano (passato e presente) legata più a questioni di convenienza politica che alla volontà di risolvere problemi reali e urgenti.