Dling dlong. Chi va al citofono? Sono le otto, il primo invitato è arrivato. Sull’uscio, ricevuto il benvenuto, porge in offerta un cubo oblungo multicolore dicendo: «È il peggio che sono riuscito a trovare in casa» e sorride entusiasta ricambiato dal padrone di casa che gli suggerisce: «Posalo nella cesta insieme ai miei».
Alcuni anni fa (una ventina circa) non ricordo né dove né quando né come né perché è nato Natalino. Ho proposto ai miei amici una specie di Natale al rovescio: ognuno doveva portare a casa mia ben impacchettato un oggetto che odiava da quando lo aveva ricevuto, un regalo fallito, un qualcosa che non sopportava più di avere in giro sotto gli occhi. Sotto l’albero dunque si venne a creare una massa di pacchi e pacchetti disparati contenenti oggetti riciclati brutti bruttissimi, così orribili da far ridere (adducendo valore al concetto di kitsch). Il rovesciamento di un rituale solido e intoccabile come lo scambio dei doni (che parte dai re Magi e arriva a Babbo Natale) causa in tutti un inevitabile buonumore: il frisson della trasgressione addolcito dalla assoluta neutralità e innocenza dell’azione.

È COSÌ strano e imbarazzante e penoso ricevere un regalo orrendo in un contesto formale che poter ridere in faccia al donatore (che poi – a Natalino – è anonimo) è quanto mai catartico: si ride del maglione con le renne regalato dai nonni, dell’ennesimo bagnoschiuma della suocera, del gioiello di bigiotteria della madre della moglie del fratello del marito, si ride di tutti i regali inadatti volgari chiassosi accumulati negli anni: a Natale bisogna far buon viso a cattivo gioco, a Natalino ci si lascia andare alle peggiori manifestazioni di disprezzo, si applaude la sconcezza, l’orrore, l’audacia trash, si fotografa il peggior regalo, si traccheggia, si fanno scambi, nell’ipotesi più sfortunata si lascia l’oggetto del non desiderio sotto il cuscino del letto matrimoniale dei padroni di casa.
Ci sono oggetti che girano da anni: passano l’inverno la primavera l’estate l’autunno in un cassetto o in fondo a un armadio e poi, intorno al venti di dicembre, una mano viene a salvarli dal fondo del dimenticatoio. Un faro di legno alto cinquanta centimetri, una mattonella venti per venti in ceramica con disegnato d un presepe, una cornucopia di avorio, un gattino cinese dorato che fa su e giù con la mano, un vinile rigato, un ciondolo a ciuccio di bebè laccato oro, un’agenda in finta pelle della banca di Sondrio… È la sagra dell’inutilità, la festa del superfluo, la celebrazione del riciclo: la plastica dura pressoché in eterno, tutto il resto si dissolve, ma certi oggetti materiali lasciano un segno nella vita degli uomini.
La sorte unisce regalo schifoso a un nuovo possessore, di riffa o di raffa qualcuno a suon di braccio di ferro tra donne è felice, battaglie all’ultimo sangue per guadagnarsi una rosa dei venti in terracotta dal peso di sedici chili.

VENERDÌ sera sono stati abbandonati nel mio salone un gufo d’argento, più di quattro libri illeggibili tra cui Donne d’Italia da Cleopatra alla Boschi di un discutibile giornalista televisivo, una guida per essere una brava moglie e un romanzetto adolescenziale da cui hanno tratto un film pop di cassetta; una candela di plastica bianca con annessa lucina in punta alquanto cimiteriale; una dozzina di teierine di porcellana blu tenute insieme da uno spago (non pervenuto l’uso); il dvd di The Pact – l’innocenza divenne amore ma l’amore divenne assassino? – con attori mai visti né sentiti; un i per venti in ceramica con peluche gattino con gli occhi sproporzionati fuori dalle orbite; due fasce di plastica elastica per fisioterapia. Cosa ne farò? Li toglierò dalla vista, li dimenticherò e li andrò a cercare col fiatone il pomeriggio di Natalino dell’anno prossimo.

A meno che qualcuno non solleciti un bis per disfarsi di regali disgustosi che riceveranno questo Natale e non emerga improvvisa l’urgenza di una serata Befanina (cosa accaduta almeno tre o quattro volte negli anni più bui di crisi).