«Il riciclo? Partiamo dalle schede dei cellulari»
Intervista Il professor Maurizio Masi spiega il progetto E-waste del Politecnico di Milano per recuperare terre rare e metalli preziosi
Intervista Il professor Maurizio Masi spiega il progetto E-waste del Politecnico di Milano per recuperare terre rare e metalli preziosi
Il dottor Maurizio Masi è stato fra i responsabili di E-waste, un progetto del Politecnico di Milano il cui obiettivo era quello di rafforzare l’intera filiera del riciclo di RAEE al fine di recuperare terre rare e metalli preziosi in essi contenuti mediante processi a basso impatto ambientale.
Quali sono i Raee più ricchi di queste materie prime e quanti ne rimangono nelle case?
Sicuramente i prodotti dell’elettronica di largo consumo come personal computer e smartphone. Le schede sono la parte più ricca. Un telefono cellulare, solo nella scheda, contiene oggi 250 mg di argento, 24 mg di oro, 9 mg di palladio, 9 g di rame. La batteria al litio contiene circa 3.5 g di cobalto e circa 1 g di terre rare (neodimio, europio, terbio, cerio). Un laptop, nelle sue schede, contiene circa 1 g di argento, 220 mg di oro, 80 mg di palladio 500 g di rame, oltre a 65 g di cobalto nella batteria. Assumendo una popolazione di 60 milioni di abitanti, dal dato di mancato conferimento di 3.8 kg/persona ogni anno si accumulano in Italia 228 mila tonnellate. Però questo è un dato di mancato conferimento ai centri di raccolta. Non è quello che si accumula nei cassetti. Se ci focalizziamo quindi sui telefoni cellulari, il prodotto che viene conservato perché non si sa mai che possa servire e, soprattutto, perché occupa poco spazio, su un possibile rifiuto di 21 milioni di pezzi annui, per circa 300 g ciascuno sono 6.300 ton/anno. Secondo i calcoli di Erion, i piccoli RAEE rimangono dispersi o non conferiti per circa il 40% del valore atteso di raccolta. Quindi sono circa 3800 tonnellate/anno accumulate nei nostri cassetti.
Il riciclo di questi materiali è imperativo per la sostenibilità ambientale. Ma come siamo messi a sostenibilità economica?
Se osservassimo una logica esclusivamente di mercato, al momento riciclare non conviene. Nonostante la guerra e l’aumento progressivo della domanda, al momento i prezzi non sono drammatici, e quindi il metallo riciclato costa di più. Diverso fu quando la Cina, una decina di anni fa, chiuse le sue miniere: i prezzi schizzarono alle stelle e a quel punto sì, conveniva riciclare. Ma poi gli Stati Uniti riaprirono le proprie miniere e i prezzi tornarono ad abbassarsi. Dopodiché, in Europa riciclare è diventato obbligatorio: ad esempio le nuove batterie immesse sul mercato al 2035 devono avere il 20% di riciclato. Le faccio un esempio: un pacco batterie auto contiene 10 kg di cobalto: essendo presente nelle rocce a bassissime concentrazioni, per ottenere questo quantitativo devo scavare 400 tonnellate di roccia. La transizione da petrolio a elettrico ha un costo minerario pazzesco, se non lo capiamo, non capiamo la transizione. E’ quello che è successo con i polimeri, ora quelli riciclati valgono più dei vergini: la normativa ha fatto le regole di mercato.
Come avviene il recupero?
Dopo raccolta e smontaggio, c’è una prima separazione macroscopica, poi la triturazione, l’arricchimento (si separano i metalli da altri materiali come resine polimeriche) e infine il processo di recupero dei metalli. Quest’ultimi sono di due tipi: pirometallurgico e idrometallurgico. Il primo è basato su processi di fonderia ad alta temperatura (e ad alto impatto ambientale). Questi impianti di metallurgia secondaria (ossia che trattano le scorie di lavorazione) e di grande dimensione sono localizzati nel nord Europa (vedi UMICORE in Belgio). I secondi sono realizzabili alla scala di piccola -media impresa e possono essere distribuiti sul territorio in un’ottica di simbiosi industriale. Addirittura, in quest’ottica può non essere necessario produrre nuovamente il metallo di partenza ma si possono ottenere dei sali o delle soluzioni che possono costituire una materia prima seconda per molti comparti industriali (vedi industria galvanica o delle finiture superficiali).
Perché la stragrande maggioranza dei Raee raccolti in Italia finisce in Nord Europa?
Manca ancora in Italia un sistema di trattamento e recupero dei differenti materiali successivo alle fasi di primo smontaggio e classificazione. Infatti, gran parte del materiale nobile è inviato a grossi impianti pirometallurgici di tipo secondario localizzati in Finlandia e Belgio. La forza delle piccole e medie imprese italiane potrebbe invece sviluppare una rete d’impianti basati sulla idrometallurgia. Ma questo ancora non succede perché siamo bloccati dal punto di vista legislativo. L’impianto pilota che noi realizzammo in una galvanica di Rozzano a un certo punto ebbe problemi di autorizzazioni perché si entrò nell’ambito della normativa rifiuti e si dovette fermare. Questi processi chimici (gli idrometallurgici) vanno fatti in zone dove sono già presenti impianti chimici, perché servono dei servizi ausiliari, ad esempio sistemi di trattamento delle acque, che in un impianto di trattamento dei rifiuti non ci sono. Quindi in buona sostanza l’impianto chimico, che sarebbe in grado di trattare nella maniera corretta e meno impattante i rifiuti elettronici, non li può ricevere, perché la normativa rifiuti non consente di mandare rifiuti agli impianti chimici. A sua volta, l’impianto di trattamento rifiuti invece non può fare processi di trattamento chimici. In tutta Europa si mandano i rifiuti ad alimentare, ad esempio i petrolchimici, come prima si mandava petrolio e poi metano. In Italia non si fa perché nella gestione dei rifiuti entra la malavita e anche la mala politica.
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